Dai membri di IPB-Italia - IPB-ITALIA - Associazione per la pace, il disarmo, la soluzione nonviolenta dei conflitti

IPB-ITALIA

Associazione per la pace, il disarmo, la soluzione nonviolenta dei conflitti

Nuovo aspetto del sito e maggiore fruibilità dei contenuti!
Segnalate comunque eventuali malfunzionamenti. Grazie!

Volete tenervi aggiornati sulle ultime novità? Seguiteci su Twitter!


Archivio della categoria 'Dai membri di IPB-Italia'

Cronache fantasma e avvenimenti nascosti ai più…

19 maggio 2007 Pubblicato da roberto

L’ottavo colore dell’arcobaleno è il nuovo reportage-racconto-riflessione di Andrea Misuri.

E’ una cronaca quasi “fantasma”, quella degli attentati di cui Andrea Misuri dà la notizia. Certo, con lo stillicidio continuo degli orrori dall’Iraq, chi vi farebbe caso? Eppure proprio questi hanno una valenza sinistra e particolare: sono i primi, dopo anni di tranquillità, che scuotono la regione autonoma del Kurdistan, faticosamente avviata in un processo di pace e modernizzazione senza precedenti nell’area mediorientale.
Ma anche i cenni di storia, e i dettagli che Andrea racconta sulla vita e le prospettive odierne della regione, son notizie pressocché inedite ai più. Chi sa ad esempio, che proprio nell’Iraq del nord - a Erbil capitale della regione - a giugno si terrà l’ItalianExpo 2007, la prima Fiera italiana in quest’area?

In questa pagina di analisi e di ricordi, tutto questo e tanto altro. Curiosità cronache e storia anche vissuta da noi protagonisti della passata “mission” dei Sindaci dell’anno scorso.
Tutto questo ci aiuti a riflettere, a penetrare con maggiore interesse nelle vicende di popoli di cui al massimo ci vengono mostrati cliché di vita assolutamente imperfetti nella molteplicità delle culture che arricchiscono il nostro piccolo grande pianeta. Sta a noi “scavare” in profondità e con senso critico, al di là degli “scoop” e delle immagini ad effetto che i media usualmente ci propongono.

Categorie: Dai membri di IPB-Italia, Reportages e racconti | Tags: , , | Nessun Commento »

I bambini invisibili di Haiti

1 aprile 2007 Pubblicato da roberto

Da Massimo Toschi, nostro Socio e funzionario alle Nazioni Unite, un articolo che svela notizie a noi sconosciute, da un Paese quasi dimenticato…

In questi ultimi mesi la situazione dell’infanzia nel paese sudamericano è balzata prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, per i drammatici casi di sequestri di bambini dai bus scolastici da parte di gruppi armati criminali

Massimo Toschi attualmente è impegnato a Haiti, come “Responsabile per l’infanzia Missione di Pace e di Stabilizzazione delle Nazioni Unite”

In due giorni, a metà dicembre scorso, sono stati rapiti 29 bambini (di cui 13 in un unico sequestro di uno scuolabus) per un totale di 59 casi in un solo mese, creando una situazione di panico generale nella popolazione da indurre il governo haitiano alla chiusura anticipata delle scuole a livello nazionale.

Proprio in questi giorni il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York ha adottato la Risoluzione n. 1743 (con cui viene rinnovato il Mandato della Missione di pace ad Haiti) nella quale, al punto 17, esprime una dura condanna delle violazioni contro i bambini nel contesto della violenza armata, e in modo particolare contro gli abusi sessuali e gli stupri di bambine.

La lista di violazioni e discriminazioni delle quali l’infanzia di Haiti è vittima è tristemente lunghissima. In modo particolare per le femmine. Come riportato dall’UNICEF nel Child Alert: Haiti, pubblicato nel marzo 2006, un bambino su quattordici non riuscirà a festeggiare il suo primo compleanno; il tasso di mortalità entro i 5 anni è 120/1.000: in altre parole un bambino ogni otto non raggiungerà i 5 anni. Un minore su sette è orfano di almeno un genitore; elemento che, combinato con la situazione di povertà che affligge il paese, fa sì che moltissimi bambini vivano in una situazione di gravissima vulnerabilità, rendendoli facile preda di sfruttatori. Come confermato dall’assurdo fenomeno - tanto assurdo da sembrare anacronistico nel 2007 a poco più di un’ora di volo dalle spiagge della Florida - dei circa 280.000 bambini restaveks, bambini in domesticità (che non è altro che una definizione addolcita per indicare la schiavitù), sfruttati nei lavori domestici e in molti casi ripetutamente picchiati e abusati sessualmente, dove, ancora una volta, sono le bambine le più colpite, rappresentando il 75% di questa cifra.

Ragion per cui molti di loro preferiscono la vita di strada. A Port-au-Prince, la capitale, si stima ci siano 2.500 bambini di strada che vivono di elemosina per guadagnarsi 20 gourdes con cui sfamarsi (meno di 50 centesimi di euro) e quindi ulteriormente vulnerabili allo sfruttamento, soprattutto sessuale, o al traffico.

Come evidenziato dalla menzionata Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, gli abusi sessuali sulle bambine hanno raggiunto livelli drammatici. Secondo uno studio pubblicato recentemente dalla Banca Mondiale si stima che il 46% delle minorenni siano state vittime di abusi sessuali domestici. A Cité Soleil e Martissant (zone della capitale colpite dalla violenza armata) molte ragazze sono state vittima di stupro, e in molti casi di stupri collettivi. L’unità per la protezione delll’infanzia di MINUSTAH ha riportato 29 casi nell’ultima settimana del mese di novembre, tra cui quello di una ragazza quindicenne vittima di uno stupro collettivo da parte di sei persone armate.

Come se non bastasse il drammatico livello di povertà che ne fa il paese più povero del continente americano, Haiti è vittima della violenza armata di alcuni gruppi responsabili del traffico della droga e di armi, sequestri, stupri e altre attività criminali e di destabilizzazione politica.

Negli ultimi anni questi gruppi si sono resi responsabili di ulteriori violazioni dei diritti dei bambini: arruolandoli come soldati e coinvolgendoli con la forza nelle file armate come messaggeri, prostitute, fino all’inumano utilizzo come scudi umani durante gli scontri a fuoco, per poi colpevolizzare i peace-keepers di eventuali vittime.

In molti casi gli autori delle violazioni e di questi atti criminali sono a loro volta minori. Tra le 21 persone arrestate a fine dicembre come responsabili dei casi dei sequestri degli scuolabus, 7 erano minorenni. Occorrerebbe tener conto che questi bambini sono stati forzati a prendere parte alle attività criminali, in molti casi minacciati a morte. A causa dell’inoperatività del sistema giudiziario minorile nazionale, la maggior parte dei ragazzi in conflitto con la legge viene dimenticata in centri di detenzione contrari ai diritti della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Solamente a Port-au-Prince si contano 114 bambini e 29 bambine in detenzione, di cui solo 5 sono stati giudicati da un giudice minorile.

In queste ultime settimane si è verificata una significativa diminuizione del numero dei sequestri, grazie alle operazioni militari condotte dai Caschi Blu della missione di pace delle Nazioni Unite, insieme con le forze di polizia haitiane, che hanno all’arresto di alcuni responsabili dei gruppi armati criminali. Il risultato immediato è rappresentato dai colori delle divise dei bambini (ogni scuola ha le divise di un colore diverso), che ogni mattina riempiono le strade di Port-au-Prince.

Tuttavia, considerando che tra gli indicatori riportati dal menzionato Child Alert: Haiti dell’UNICEF, il 55% dei bambini ha accesso al primo ciclo scolastico, solamente il 2% finisce le scuole secondarie e circa un ragazzo su tre, tra i 15 e i 18 anni, è analfabeta, il lavoro da fare per l’infanzia dimenticata di Haiti è ancora moltissimo.

Per maggiori approfondimenti sull’infanzia di Haiti: film-documentario sui bambini soldato Les enfants perdus de Cité Soleil, visionabile su www.minustah.org; progetto sostenuto dall’UNICEF Italia ad Haiti su www.unicef.it/haiti; vedi anche www.raiclicktv.it/raiclickpc/secure/list_content.srv?id=2092#

Nota: Articolo pubblicato su http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3231

Categorie: Dai membri di IPB-Italia, Nel mondo | | Nessun Commento »

Per un 2707 di Pace

20 marzo 2007 Pubblicato da roberto

Ecco un racconto che è un racconto di storia, e, insieme, un ricordo.
Il 21 marzo - non solo dal popolo curdo, ma presso tutti i popoli di stirpe iranica - dai tempi dei tempi si celebra il “Nuovo Giorno”, appunto, il Newroz.
Dalla penna di Andrea Misuri un articolo fresco di ricordi e antico di storia. Che immerge anche noi lettori, quasi per magia, tra i popoli e le tradizioni di quella regione dove nacque la nostra civiltà.

In queste ore, sugli spalti del Castello di Erbil, stanno bruciando i falò.

E’ il Newroz, il capodanno delle popolazioni di origine iranica, il “Nuovo Giorno”.
Oggi si entra nel 2707. Nella ricorrenza si ritrovano aspetti mitici, storici, sociali, che ne fanno un momento di forte identità per un popolo, quello curdo, da tempi immemorabili perseguitato e disperso. La diaspora curda, meno conosciuta di quella di altri popoli, se si guarda al numero di persone coinvolte è sicuramente fra le più grandi. Ben si comprende, quindi, come in questo caso, il mito abbia svolto una fondamentale funzione di coesione, legando l’origine del popolo ad eroici antenati pre-islamici.
Mi piace ricordare che del coraggio dei combattenti curdi parla già l’Anabasi di Senofonte. Una campagna militare di oltre due millenni fa, culminata nella effimera vittoria di Cunassa (401 a.C.) in cui Ciro il giovane trovò la morte, e in una faticosissima ritirata di migliaia di chilometri. I 10.000 opliti greci, mercenari al servizio di Ciro, spintisi fino all’odierna Baghdad, tornarono indietro, cercando di raggiungere le lontane rive del Mar Nero (sorvoliamo sulle possibili analogie con la storia attuale). Accadde dunque che i fuggiaschi attraversarono il territorio dei Curdi, noti come Caduchi, che “vivevano sulle montagne ed erano un popolo bellicoso, che rifiutava di obbedire al re” (Anabasi, III, 5, 16). Certamente, un incontro per niente amichevole. Anche Marco Polo, tanti secoli dopo, descrive i Curdi come “tristi e bellicosi”.
Ma torniamo agli antenati della tradizione. E’ il poema epico “Il Libro dei Re” di Firdusi, del X secolo d.C., che racconta la genesi culturale dei popoli iranici. E’ leggendo queste pagine, peraltro bellissime, poetiche, ricche di notizie sulla vita quotidiana in quelle epoche antiche, che possiamo riavvolgere il filo del tempo, conoscere eventi fantastici collocati in un passato molto remoto.
Si favoleggia che il despota Dahak avesse sulle spalle due serpenti che ogni giorno si nutrivano con il cervello di due giovani curdi. Ma il servitore che doveva uccidere i fanciulli, preso da pietà, ogni giorno ne uccideva uno soltanto, sostituendo il cervello dell’altro con quello di una pecora. I giovani sopravvissuti si rifugiarono sulle montagne. Così nacque il popolo curdo, “gli uomini delle montagne”.
Un giorno, Kawa un umile fabbro ferraio d’Isphahan (nell’attuale Iran), il cui figlio doveva essere dato in pasto ai serpenti, trovò il coraggio di opporsi al tiranno. Kawa prese il suo grembiule di cuoio e lo issò su di un asta, facendone la bandiera che avrebbe guidato gl’insorti. I fuochi accesi sulle montagne sarebbero stati il segnale della rivolta. Fu richiamato il legittimo discendente regale, il giovane Fredun. La popolazione, guidata da Kawa, rovesciò la dittatura.
Fredun catturò Dahak e lo portò sulla catena montuosa di Alborz, e lo legò in catene sulla sua cima, Damavand. Ancor oggi Damavand svetta alta verso il cielo, con i suoi oltre 5.000 metri, a nord-est di Tehran. La sua punta, perennemente coperta di neve, è visibile da ogni angolo della città. Lo sviluppo urbanistico, ormai, ne lambisce i primi contrafforti, indifferente alle leggende raccolte dal poeta Firdusi. Attualmente, sul Davamand, al campo base di Goosfand Sara (La dimora delle pecore) e al rifugio di Bazrgah-e-Sevom (Terzo color grano), quando la stagione lo permette, s’incontrano esperti scalatori, che si stanno acclimatando alla quota, in attesa della salita finale.
Abbiamo visto come il grembiule di Kawa fosse diventato il vessillo della rivolta. Un oggetto semplice, di uso quotidiano, assurgeva così a punto di riferimento di un popolo oppresso. Insieme al fuoco, da sempre indispensabile a forgiare gli oggetti nelle botteghe dei fabbri e divenuto simbolo della lotta al crudele Dahak. Quello stesso fuoco che da tempo immemorabile veniva acceso in luoghi diversi, prima dell’alba dell’equinozio di primavera, dalle antiche popolazioni. Quel fuoco con cui si usava venerare Mazda, il dio di cui Zaratustra era il profeta, prima che i curdi si convertissero all’Islam, quando entrarono a far parte dell’Impero Ottomano, nel VII secolo d.C.

La leggenda di Kawa, in realtà, trova un radicamento nella storia. Con un riferimento preciso alla vittoria dei Medi sugli Assiri e la distruzione della loro città più bella, Ninive.

Ninive si trovava vicino all’attuale Mossul. Lungo il Tigri, crocevia di comunicazione fondamentale sulla via che univa l’Oriente ai Paesi che si affacciavano sulle rive del Mediterraneo.
Quartieri residenziali si alternavano ai templi. Lungo le possenti mura che chiudevano la città, furono costruite diciotto grandi porte, a guardia delle quali furono poste gigantesche statue di tori dalla barba riccia, guardiani che incutevano timore ai visitatori.
Ninive raggiunse a quel tempo i 120.000 abitanti, gran parte dei quali importati a forza dalle città nemiche distrutte. Un numero impressionante per l’epoca. Nel racconto biblico di Giona è chiamata la città “dei tre giorni di viaggio”, ad indicare la sua grandezza.
I re assiri che si succedettero portarono avanti una politica di conquista nei confronti di popoli anche lontani dalle loro terre: Caldei, Filistei, Cimmeri, Mannei, Sciti, Medi. Nessuno si poteva considerare al sicuro dalla voglia di conquista degli Assiri. Fu invaso l’Egitto. Poi toccò al regno di Elam. Furono sconfitti gli Arabi, alleati di Babilonia, la grande nemica. La mitica Babilonia fu completamente distrutta. E con lei, quella Torre di Babele, simbolo della presunzione dell’uomo.
Nel 612 a. C. un’alleanza tra i Medi del re Ciassare e i Babilonesi del re Nabopolassar portò all’assedio di Ninive. Durò tre mesi. Troppo estesa la città, troppe le porte da proteggere. L’alleanza contro il comune nemico aveva permesso di raccogliere un gran numero di assedianti che sconfissero gli Assiri. La lunga oppressione era terminata.
Da quell’anno decorre il calendario dei Curdi, con ogni probabilità discendenti dei Medi, che si erano mescolati con la popolazione autoctona che abitava quei territori.

Il Newroz si festeggia in Irak, Iran, Pakistan, Afghanistan, oltre che in alcune regioni dell’India e della Cina abitate da minoranze iraniche. Questo non succede in Turchia, dove la ricorrenza coincide ormai, da molti anni, con una stretta sorveglianza dei militari e con dure repressioni della popolazione curda. Il Newroz diviene occasione d’identità. Il segnale annunciato di un malessere, di un desiderio di libertà pericolosi per il potere. L’atteggiamento delle autorità ha fatto sì che per il 21 marzo, nel Kurdistan turco, ogni anno, arrivano numerosi osservatori internazionali.

Alle prime luci dell’alba, i fuochi sugli spalti del Castello di Erbil si vedono da ogni angolo della città, a ricordare la rivolta del fabbro Kawa.
Da lassù, vicino ai falò, il bazar sottostante si estende a perdita d’occhio. Dagli spalti, illuminati dal riverbero delle lingue di fuoco, sembra quasi di percepire i profumi e gli odori che fra poco usciranno dalle mille botteghe sottostanti. Le grida dei venditori che si mescoleranno, inseguendosi, a quelle dei compratori intenti a mercanteggiare sul prezzo.
Intanto, la città si sveglia al “nuovo giorno” di festa. Lunghe colonne di auto e di mezzi d’ogni sorta prendono la strada che a nord di Erbil s’allunga verso la campagna: un rettilineo infinito, sorvegliato, a intervalli regolari, da gruppi di soldati. Sorridono, scambiando saluti e parole con le famiglie festanti.
Il Newroz è anche occasione per capire meglio il ruolo della donna nella società. Ruolo e libertà decisamente maggiori rispetto a quelle di altri Paesi islamici. Un aspetto, questo, della società curda, già evidenziato dai viaggiatori occidentali nei secoli passati. Lo si può vedere dagli abiti indossati dalle donne in questo giorno di festa. Abiti dai colori vivaci, che non nascondono la femminilità. Lo si nota dalle danze popolari, spesso di donne e uomini insieme, accompagnate da una musica coinvolgente. Danze che vanno avanti per ore, sui prati, fermandosi e ripartendo in un incessante inno alla voglia di vivere. Tenendosi per mano, o per le braccia, eseguono girotondi dalle tante varianti. Queste danze rappresentano un aspetto importante della vita sociale.

Mi fa piacere pensare che in queste ore, a Erbil, a Sulaymanya, a Halabja, a Balessan, a Chamchamal, ma anche a Baghdad, come in Canada e in Italia, gli amici che abbiamo conosciuto stanno festeggiando. Ballando e cantando le canzoni della tradizione, mangiando kebab, kifta e yogurt sulle tovaglie apparecchiate sui prati, guardando i fuochi che bruciano sulle colline, a simboleggiare l’antica voglia di libertà di un popolo.
Kareem, Ara, Muhamad, Hero, Dana, Shreein, Mahtab, così come Gulala, Nadhim e Rashid, che il 2707 possa essere per voi, per noi e per tutti un anno davvero “nuovo” di pace ed amicizia.

Nota: L’articolo (corredato di foto) è pubblicato anche nel sito di Peacelink.

Articolo correlato:
Newroz: Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

Categorie: Dai membri di IPB-Italia, Progetto Iraq | Tags: , , , | Nessun Commento »

“Appunti da un viaggio in Kurdistan” - due incontri di presentazione

8 febbraio 2007 Pubblicato da roberto

A Firenze e a Campi Bisenzio, rispettivamente il 16 e il 22 febbraio, si svolgeranno due incontri di presentazione del libro “Appunti da un viaggio in Kurdistan” di Andrea Misuri, che racconta le vicende della delegazione dei “Mayors for Peace” italiani durante la visita nel Kurdistan iracheno della primavera scorsa:

• Al Circolo ARCI “Due Strade”, in via Senese 129/R a Firenze, venerdì 16 febbraio alle ore 21, in collaborazione con la Fondazione “Antonino Caponnetto”. Saranno presenti oltre all’autore, Fulgida Barattoni dell’IPB-Italia e il giornalista Francesco Nocentini. Nel corso dell’evento sarà proiettato il documentario di RaiNews24 “Le battaglie di Halabja” girato nel Kurdistan la primavera scorsa da Flaviano Masella reporter al seguito della delegazione di pace.

• A Villa Rucellai, a Campi Bisenzio alle 21,15, la presentazione avverrà giovedì 22 febbraio, nell’ambito dell’iniziativa “Comuni, ponti di Pace”. Presenti oltre all’autore, Fiorella Alunni sindaco di Campi Bisenzio e Fabrizio Nucci giornalista del periodico “Metropoli”. Al termine della serata è previsto un “Brindisi alla pace”. Per informazioni, Eleonora Mappa tel. 055/8959482.

Categorie: Appuntamenti, Dai membri di IPB-Italia, Progetto Iraq | Tags: , , , , , | 1 Commento »

Concluso il 17mo Congresso Mondiale IPPNW

14 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

“SE VUOI LA PACE, LAVORA PER LA SALUTE”
E’ il titolo del documento finale (clicca su “Leggi tutto”!) scaturito dal 17° Congresso Mondiale dell´Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare (IPPNW), tenutosi a Helsinki tra l’8 e il 10 settembre 2006.

IPPNW (International Phisicians for the Prevention of Nuclear War) è un’organizzazione di medici e specialisti a livello mondiale che lavora attivamente per la prevenzione di futuri conflitti atomici, secondo le proprie specificità professionali.


SE VUOI LA PACE, LAVORA PER LA SALUTE

Dichiarazione del 17mo Congresso Mondiale
dell´Internazionale Medici per la Prevenzione della Guerra Nucleare

Helsinki, Finlandia, 8-10 settembre 2006

Piu di 60 anni fa, i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki notificarono al mondo che stiamo vivendo in un tempo terribile. Piu´di 40 anni fa, medici e scienziati descrissero come una guerra nucleare ucciderebbe decine di milioni di persone indiscriminatamente, distruggerebbe intere societa´ed ecosistemi, e causerebbe cancri e danni genetici nelle generazioni ancora non nate. Nel tempo abbiamo appreso che, nel caso peggiore, uno scambio nucleare che coinvolgesse migliaia di testate nucleari causerebbe un inverno nucleare che porterebbe all´estinzione dell´umanita´.

Quasi dal momento che le prime foto di Hiroshima e Nagasaki vennero pubblicate, il popolo del mondo comincio´ad organizzarsi per richiedere che queste armi di sterminio di massa non venissero usate mai piu´. L´appello radiofonico del 1957 del dr. Albert Schweitzer di protesta contro le armi nucleari – che lui chiamo´la sua Dichiarazione di Coscienza – getto´le basi mediche e morali per l´abolizione delle armi nucleari e della guerra stessa.

Mentre l´IPPNW riunisce il suo 17mo Congresso Mondiale ad Helsinki, le scelte tra guerra e migliori percorsi di pace, salute, e sicurezza per il popolo di tutto il mondo – addirittura la stessa sopravvivenza dell´umanita´ sulla terra – sono tanto urgenti come non sono mai state fin dalla fine della Guerra Fredda.

Il Medio Oriente ha appena sofferto un altro parossismo di guerra, il cui risultato e´stato che le popolazioni di ogni parte di questo conflitto che dura da decadi sono state I reli perdenti. L´Iraq e´caduto nel caos come risultato di una guerra preventiva e di occupazione basata sul falso clamore che l´Iraq avesse armi di distruzione di massa. Piu´di 100.000 persone – soldati e civili – hanno gia´perso le loro vite per quella guerra illegale; sono stati sperperati centinaia di miliardi di dollari che avrebbero potuto essere investiti in salute reale e sicurezza per la regione e per il mondo; ed il quotidiano gran numero di colpiti continua ininterrottamente.

La polarizzazione tra il Nord globale ed il Sud globale – una delle cause maggiori di guerra del nostro tempo – si manifesta in grosse iniquita´ nelláccesso alla salute, all´educazione, alla protezione dell´ambiente, ad un progresso economico sostenibile, ed alla sicurezza per miliardi di persone nel mondo. Queste iniquita´esacerbano I conflitti e conducono alla militarizzazione, alla violenza armata, ad atti di terrore, alla guerra. La violenza causata da piccole armi, infatti, e´uno dei principali problemi di sanita´pubblica, e costa decine di migliaia di vite causando centinaia di migliaia di feriti ogni anno in ogni parte del mondo. Una delle chiavi per risolvere I problemi di un equo, sostenibile e pacifico sviluppo globale sara´ assicurare che I paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati abbiano accesso e risorse energetiche pulite, sicure e rinnovabili. L´energia nucleare, che e´inestricabilmente legata alle armi nucleari, deve essere nel tempo abbandonata insieme ad esse in quanto rischio inaccettabile per il futuro.

Come medici, noi siamo obbligati a prevenire la guerra e ad agire per il ristabilimento di condizioni di sicurezza globale fondate salla salute e sui diritti umani. Comunque, lóbiettivo preminente che ha definito la missione dell´IPPNW per piu´ di 25 anni rimane immodificato. Noi non vediamo segnali secondo cui gli Stati Nucleari intendono eliminare le proprie armi nucleari, come si sono impegnate a fare con l´Articolo VI del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT), e come ha affermato la Corte Internazionale di Giustizia dicendo che sono obbligati a farlo dal diritto internazionale. Al contrario, alcuni Stati Nucleari adesso parlano apertamente dell´uso in battaglia di armi nucleari. Questa minaccia porta molti paesi ad acquisire proprie armi nucleari come deterrente ed aumenta il rischio del terrorismo nucleare.

L´abolizione delle armi nucleari e´un obiettivo imperativo per la sicurezza umana che non puo´piu´essere rimandato. Gli Stati Nucleari e gli Stati non nucleari debbono giungere insieme senza altri ritardi all´avvio di negoziati per una Convenzione sulle Armi Nucleari.

La sicurezza degli USA aumenterebbe enormemente in un mondo senza le armi nucleari, ed essi dovrebbero provvedere a dotarsi di una leadership necessaria a raggiungere tale scopo. La Russia, invece di sperperare risorse su nuovi missili a testata multipla destinati a superare le difese missilistiche degli USA, dovrebbe unirsi agli USA per fondare pienamente e sviluppare un programma di smantellamento che distrugga le proprie armi nucleari rimanenti e per mettere in sicurezza tutti I materiali fissili in modo che siano impossibili da raggiungere da parte di terze parti.

La Gran Bretagna, invece di rimpiazzare la sua forza sottomarina di missili Trident con un nuovo sistema strategico di armi nucleari, deve dichiararsi il primo Stato non nucleare dei cinque originali che diventa uno stato non nucleare, diventando esempio morale per tutti gli altri. La Francia, che ha recentemente dichiarato che non esiterebbe ad usare armi nucleari in risposta al terrorismo, deve abbandonare I piani per un nuovo missile nucleare a lungo raggio e mostrare una leadership morale nel rendere l´Europa una zona libera da armi nucleari. L´Unione Europea, invece che continuare a vivere con le contraddizioni esistenti tra politica nucleare della NATO e le obbligazioni dell´Articolo VI per gli stati europei, deve decidere la rimozione delle armi nucleari tattiche USA dal suolo europeo, e la fine delle politiche nucleari che hanno evaso lo spirito, se non la lettera, del NPT. India e Pakistan, invece che accelerare la corsa alle armi nucleari che, a dir poco, priverebbe le loro economie di risorse vitali per il servizio sanitario, l´educazione e lo sviluppo, e che peggio potrebbe portare la regione ad essere un grande deposito di scorie radioattive, debbono rinunciare alle armi nucleari e sviluppare una leadership comune che porti a stabilire una zona libera da armi nucleari in Asia Meridionale. Israele, inveve di continuare a tenere celato il proprio arsenale nucleare dietro una politica di silenzio, dovrebbe eliminare le sue armi nucleari come parte di un insieme per creare una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente. La Repubblica Democratica della Corea del Nord deve abbandonare la sua futile richiesta di sicurezza dietro un arsenale nucleare e riabbracciare il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. L´Iran deve dare al mondo inequivocabili assicurazioni di non avere intenzione di acquisire armi nucleari, ed il resto del mondo deve lavorare con l´Iran per assicurare che I propri bisogni di legittima sicurezza siano raggiunti.

Il mondo e´sfuggito fortunatamente alla catastrofe nucleare durante la Guerra Fredda. Non saremo cosi´ fortunati nel 21mo secolo se non fronteggeremo la sfida che abbiamo di fronte fin dal 9 Agosto 1945. Come Premio Nobel per la Pace e come federazione di medici che capisce che l´abolizione delle armi nucleari e´medicina preventiva su scala globale, noi richiediamo con urgenza agli Stati Nucleari – ed a quelli che flirtano con l´ambizione di diventare Stati Nucleari – di liberare il mondo dai nostri sei decenni di incubo nucleare.
Nota: Il sito ufficiale dell’International Phisicians for the Prevention of Nuclear War: http://www.ippnw.org
Il sito della sezione italiana di IPPNW: http://www.geocities.com/ippnwitalia
If you want peace, work for health!
The original statement: http://www.ippnw.org/HelsinkiCongressStatement.html

Categorie: Dai membri di IPB-Italia, Dalla Società Civile | Tags: , , , , | Nessun Commento »