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Archivio della categoria 'Dalla Società Civile'

Report on UN future - good diagnosis, but poor prescription

5 dicembre 2004 Pubblicato da roberto

More Needed to Restore Legitimacy of Commission on Human Rights

(Geneva, December 2, 2004) — A report on the future of the United
Nations, ordered last year by Secretary-General Kofi Annan and officially
released today, accurately diagnoses the sorry state of the U.N.
Commission on Human Rights but proposes an inadequate cure, Human Rights
Watch said today.

The report is on target in recognizing that gross human rights violators
seek seats on the Commission to protect themselves from criticism. But
instead of establishing membership criteria linked to a member state’s
human rights record, the panel members give up the battle and recommend
expanding the Commission to include all 191 U.N. members.

Among its key findings, the report highlights that the Commission suffers
a serious problem of credibility that casts doubts on the overall
reputation of the United Nations. The report, entitled “A More Secure
World: Our Shared Responsibility” and prepared by an panel of eminent
persons, notes that the Commission’s most serious problem is that so many
of its 53 member states are themselves responsible for serious human
rights violations.

“The report is on target in recognizing that gross human rights violators
seek seats on the Commission to protect themselves from criticism,” said
Joanna Weschler, U.N. advocacy director for Human Rights Watch. “But
instead of establishing membership criteria linked to a state’s human
rights record, the panel members give up the battle and recommend
expanding the Commission to include all 191 U.N. members.”

This recommendation is inconsistent with the report’s own analysis. In a
section on the General Assembly, the only U.N. body with universal
membership so far, the report states that the Assembly has lost its focus
and recommends that it establish “smaller, more tightly focused
committees.”

The General Assembly has hardly been a reliable defender of human rights.
Just days ago, it voted not to take any action on or even discuss several
resolutions against highly abusive states: Sudan, whose ethnic cleansing
is responsible for ongoing crimes against humanity in its western region
of Darfur, as well as Zimbabwe, and Belarus. Even the Commission with its
current membership had succeeded in criticizing Belarus earlier this year.

“There’s little that a 191-member body could accomplish during a six-week
session. At best, it would be yet another talk shop,” Weschler said.

Human Rights Watch has argued that governments wishing to serve on the
Commission should fulfill membership criteria and make specific rights
commitments prior to their election. In addition, the Commission on Human
Rights should become a standing body, capable of acting upon crises as
they occur rather than waiting for the six- week annual session. In its
report, the Panel recommends the creation in the unspecified future of a
Human Rights Council, which presumably would be permanent.

Among many other issues covered by the report, Human Rights Watch welcomed
the prominent place that the report gives to the recommendation that the
Security Council should stand ready to use its authority to refer cases to
the International Criminal Court.

Also of great value are recommendations made regarding the responsibility
of the United Nations to protect civilians from atrocities and mass
killings committed by their governments. Human Rights Watch supports the
five criteria of legitimacy laid out in the Panel’s report, but criticized
the lack of reference to international humanitarian law as the
indispensable guiding principle of any military action. Significantly,
the report calls on the permanent members of the Security Council to
“refrain from the use of the veto in cases of genocide and large scale
human rights abuses” ? a recommendation that Human Rights Watch strongly
supports.

Human Rights Watch endorsed the report’s proposed definition of terrorism.
The report found that the right to resist foreign occupation does not
imply a right to target civilians and noncombatants.

“Nothing justifies deliberately attacking civilians,” Weschler said.

Human Rights Watch also welcomed the report’s recommendations addressing
the due process concerns related to the listing of individuals and
entities identified as supporters of al-Qaeda as well as lists created by
some other Security Council sanctions regimes.

“We have been concerned for years about the lack of due process behind the
listing and delisting of individuals and entities targeted for sanctions,”
Weschler said. “The Panel was right to press for this problem finally to
be addressed.”

Human Rights Watch Press release

Categorie: Comunicati stampa, Dalla Società Civile, Nel mondo | | 2 Commenti »

Da “Un ponte per…”: MARGARETH, UNA DI NOI

17 novembre 2004 Pubblicato da roberto

L’assassinio dell’operatrice umanitaria Margareth Hassan, resa nota nello stesso giorno in cui è stata diffusa la fotografia dell’uccisione a sangue freddo di un prigioniero da parte di un soldato statunitense, testimonia ancora una volta quale baratro la guerra abbia scavato.

Conoscevamo Margareth, il suo amore per il popolo iracheno, la sua dedizione al lavoro umanitario, era una di noi.
Non conosciamo invece i suoi assassini mascherati, ma siamo certi, chiunque essi siano, che non lavorano per la democrazia in Iraq.

Non conosciamo nemmeno i tanti civili iracheni periti sotto le bombe, anche loro sono parte del nostro popolo, il popolo della pace.
L’Iraq ha bisogno di pace e la pace non si fonda con la guerra.
E’ urgente che la comunità internazionale assuma le sue responsabilità verso la popolazione irachena ponendo fine alla occupazione e alle atrocità di cui è responsabile e favorendo il dialogo tra tutte le componenti del popolo iracheno. Solo questo dialogo può aprire la strada ad elezioni giuste, ad una vera sovranità e nel contempo isolare i terroristi che lavorano contro la stessa popolazione.

“Un ponte per…”ONG - piazza Vittorio Emanuele II, 132 00185 ROMA
tel.0644702906 mail to: uff-stampa@unponteper.it;
web: www.unponteper.it

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Io credo nei “piccoli”. Perché…

12 novembre 2004 Pubblicato da roberto

Una riflessione scaturita qualche giorno fa, nella miriade di avvenimenti che hanno segnato questo scorcio di anno che presto andrà a finire.
Un’alternanza di sentimenti da cui scaturisce però un’osservazione. Perché chissà, chi potrà salvare il mondo se “i Grandi”, così presi dalla lotta elettorale o dalle proprie personali conquiste, tralasciano di occuparsi dei veri problemi che investono sempre più il Pianeta?

Strana giornata la mia, in cui da un pacato entusiasmo dovuto alla gioia dell’incontro “de visu” con gli altri membri di Peacelink, c’è stata la rassegnata constatazione della vittoria di Bush, e nel contempo la bella notizia che il documento redatto dal “Focus Group” di Firenze è stato consegnato a New York, al capo dell’High Panel incaricato della riforma delle Nazioni Unite.
Nel frammezzo, il comunicato di Peacelink riguardante l’avvio della campagna contro le armi all’uranio impoverito, e di striscio, una mia lettera di riflessione inviata alle ragazze e ai ragazzi, studenti universitari del Polo di Forlì, che hanno attivamente partecipato ai lavori del “Focus” e che hanno ricevuto gli attestati di merito alla presenza delle autorità.

*****

Difficile essere completamente sereni né completamente pessimisti; perché il bene e il male, il grande e il piccolo, s’intersecano e colorano la realtà di mille sfumature. Sicuramente una democrazia ha in sé delle incongruenze di fondo, prima tra tutte il dovere, per un candidato che desideri superare l’avversario, sottostare ad un mantenersi sottotono, non eccessivamente “rivoluzionario” o radicale nel suo programma, e sicuramente questo è uno dei motivi della sostanziale parità tra i contendenti. E quindi, Bush o Kerry, cosa sarebbe cambiato? Piccoli dettagli, probabilmente; ma il problema di fondo, che è quello più grave e che investe tutto il Pianeta con i suoi abitanti, non sarebbe certo automaticamente risolto. L’intolleranza tra le culture, lo scempio ambientale, l’eccessivo sfruttamento delle materie prime.

E allora, chi può vincere o perlomeno scalfire lo status quo? Ecco che entrano in ballo “i piccoli”, le persone di buona volontà, le moltitudini (anche se, nella legge dei numeri nelle votazioni, rimangono sempre minoranza) che possono concretamente costruire qualcosa di positivo, a prescindere dalla corteccia sociale che l’esito elettorale ha prodotto.

*****

Io credo nei “piccoli”, credo nei “lillipuziani”, credo in chi si sporca le mani o rischia la pelle per un ideale, credo nei poeti che hanno ancora sogni da regalare e strade traverse da far percorrere ai cuori smarriti dell’umano.

Ciò non toglie che non debba considerare anche “i grandi”, però ovviamente tra piccoli e grandi spesso c’è un abisso. E paradossalmente, forse proprio i piccoli, i volonterosi, i poeti, saranno quelli che alla lunga mostreranno, accompagneranno, insegneranno agli altri la strada da percorrere, quella che potrebbe farci uscire dalla foresta oscura in cui siamo ingabbiati.

Roberto Del Bianco

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Wangari Maathai, premio Nobel 2004

13 ottobre 2004 Pubblicato da roberto

Si riporta una breve biografia di Wangari Maathai, l’ambientalista keniota premiata quest’anno col Nobel per la Pace.
“Non è possibile impegnarsi per l’ambiente senza entrare in duro contrasto con i detentori del potere” essa dice; e il suo impegno spazia allora più in avanti: per lei infatti il movimento ambientalista costituisce solo una parte e un settore avanzato del più generale movimento keniota in favore della democrazia.

Testo a cura di Alberto Barbero


Nel giugno del 1977 Wangari Maathai piantò sette alberi in memoria degli eroi nazionali del Kenia.
Questa semplice iniziativa dette progressivamente vita a un movimento che prese il nome: “Greenbelt Movement”, il movimento della Cintura Verde.
Dal 1992 questo movimento nazionale di oltre 50.000 donne ha piantato più di dieci milioni di alberi salvando così migliaia di acri di crosta terrestre; dal Kenia il Movimento si è poi diffuso in altre Nazioni e oggi ha associati in tutto il mondo, anche in Etiopia: ha ricevuto dalle Nazioni Unite un premio per la difesa dell’ambiente.
Il “Greenbelt Movement” pianta alberi per arginare l’erosione del terreno e contrastare la desertificazione, per abbellire il paesaggio, per produrre combustibile, per produrre entrate economiche ai suoi membri. Sostiene tre vivai organizzati e gestiti da donne che coltivano e vendono le pianticelle che saranno piantate sul territorio keniota, pubbico e privato. Il “Greenbelt Movement” fonda piantagioni di alberi differenziati, come aranci, avocadi e olivi che possono essere utilizzati come risorsa di cibo e di combustibile, ma si dedica anche alla ripopolazione di alberi indigeni come il baobab, il fico e l’acacia che sono stati metodicamente sradicati fino dall’arrivo dei poteri coloniali.

E’ innegabile che il “Greenbelt Movement” e la sua fondatrice abbiano fatto e stiano facendo un ottimo lavoro, utile per tutti, tuttavia le resistenze furono tali che Wangari ebbe a sostenere: “Non è possibile impegnarsi per l’ambiente senza entrare in duro contrasto con i detentori del potere”. Per lei infatti il movimento ambientalista costituisce solo una parte e un settore avanzato del più generale movimento keniota in favore della democrazia. Così, attraverso l’impegno ambientalista, si cerca di aiutare la gente a riprendere il controllo su ciò che accade nella propria terra e di assicurarne un coinvolgimento nella scelta di direzione dello sviluppo.

Ma questo non è certo un obbiettivo condiviso dagli uomini politici e dai potentati autoritari del Kenia, così Wangari si è trovata ad avere non poche difficoltà e problemi.

Nata nel 1940 Wangari fu per molto tempo interessata a promuovere un cambiamento democratico e sociale nei costumi arretrati del suo Paese. E’ stata la prima donna keniota a divenire docente di biologia in Kenia; si pensi che è madre di tre figli ma che suo marito l’abbandonò proprio a causa del suo attivismo: le donne influenti e con la stoffa del leader hanno vita dura in una società tradizionalmente dominata dagli uomini e il suo stesso marito, che si occupava di politica, fu accusato da altri politici di essere “poco virile” perché non esercitava la “dovuta autorità” su sua moglie.

Nel 1989 Wangari prese una posizione decisamente critica verso il governo Keniota creando una dura opposizione al progetto presidenziale di costruire un fabbricato per uffici di sessanta piani e una statua dello stesso presidente alta quattro piani da edificarsi nel bel mezzo di un parco pubblico cittadino; convinse i finanziatori inglesi, danesi e giapponesi a ritirare il loro appoggio economico al progetto e non mancò neppure di opporsi al piano presidenziale che prevedeva l’abbattimento di cinquanta acri di foresta appena fuori Nairobi per impiantarvi un vivaio di rose destinate all’esportazione.

Nel 1992, nel Parco dell’Indipendenza (Uhuru Park) di Nairobi, Wangari, con altri attivisti del suo gruppo, partecipò a uno sciopero della fame proclamato da donne impegnate in una campagna per il rilascio di tutti i prigionieri politici che il Presidente aveva fatto incarcerare: i dissidenti e perfino qualcuno che era stato arrestato solo per le sue attività in favore dell’ambiente. I reparti speciali antisommossa della polizia caricarono la folla nel parco usando gas lacrimogeni e bastonando molti dei manifestanti e, fra loro, proprio la nostra eroina. che venne portata in ospedale da amici e sostenitori. Ma anche dal suo letto di degenza, Wangari non mancò di convocare una conferenza stampa per criticare la politica repressiva dei governanti, riaffermare i principi dei Diritti Umani e l’importanza di preservare l’ambiente naturale da distruzioni e spoliazioni. Wangari si è ristabilita dalle violenze e dagli abusi della polizia e oggi è ancora un’attivissima propugnatrice del Greenbelt Movement in tutto il mondo.
I suoi sostenitori dicono che è la dimostrazione vivente di quanto possa riuscire a fare una sola persona.

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Premio Nobel per la Pace 2004

8 ottobre 2004 Pubblicato da roberto

Apprendiamo con grande gioia la notizia giunta quest’oggi dal Comitato Nobel norvegese. E non posso che essere felice per questo prestigioso premio, offerto quest’anno a una DONNA, AFRICANA e grande lavoratrice, nei campi dell’ambiente, della pace e dei diritti umani.
Campi di intervento che secondo me, dovrebbero unire prima o poi le lotte di chi vuole tutela dell’ambiente, della pace, e del diritto a ciascuno di noi a vivere, pensare ed esprimersi in libertà.

Un forte abbraccio di stima a Wanghari Maathai, Premio Nobel per la Pace 2004.

Leggi qui una breve biografia

Altri documenti in Rete:

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