Riporto come riflessione, un mio contributo a un dibattito in una “rivista di partito”, che però (il contributo) tanto “di partito” non è. Si accenna al “popolo arcobaleno” alla miriade cioé di persone che, al di fuori di tutti gli schemi delle mobilitazioni di parte, ha dimostrato da qualche anno in qua una vitalità e una forza di volontà e di fantasia non indifferenti.
Si parla della sua anima, e di come invece i media lo dipingono. Fermi forse ancora a cliché usurati dal tempo e ripresi solo dai media stessi, ma nei quali però il popolo della pace non si riconosce…
Il mondo del pacifismo attuale, e lo vedo attraverso l’ampia finestra di un’Associazione - PeaceLink - che ha proprio della “visibilità” ai gruppi che operano per la pace uno dei suoi motivi di esistere, è molto diverso da com’era, ad esempio, diversi anni fa; ed è un peccato che la maggioranza dei media sia rimasto, nelle occasioni in cui se ne parla, all’applicazione di un “cliché” oramai superato, che vede i pacifisti, appunto, fortemente ideologizzati, magari fermi a dogmi marxisti o a comportamenti da “blac block” di triste genovese memoria…
Eppure non è da poco che le lotte “a difesa delle ideologie” non hanno più motivo di essere. Dalla caduta del muro di Berlino e del comunismo reale, il fronte della lotta si è spostato dal dogma ideologico ai fatti più concreti della contrapposizione, potrei dire, tra “stili di vita”: da un lato l’attenzione all’umano, all’ambiente, all’equa distribuzione dei beni; dall’altro l’accettazione (illusoria, o forse di più, interessata) del processo di globalizzazione economico in corso, illusoria per chi ingenuamente può credere che la circolazione del denaro e la produzione dei beni a basso costo possano portare a maggior benessere, interessata per chi su questo gioco dell’economia ci guadagna.
Il “popolo della pace” parte proprio da queste contrapposizioni, visibili per chi non riesce a rimanere superficiale. E investe quindi il tema della pace partendo da lontano, in fondo è quel che già trent’anni fa vedevo vivere in gruppi “di base” attenti, ad esempio, all’ingiustizia che già allora veniva perpetrata verso i popoli del “terzo mondo”; e non è un caso che a formare l’esercito pacifico e nonviolento dei milioni di persone nelle manifestazioni, vi siano anche membri ecclesiali, missionari, uomini e donne che hanno provato sulla propria pelle cosa volesse dire emarginato o semplicemente “non occidentale”.
E quindi lo stesso amore per la pace è conseguenza di un amore per la giustizia, e manifestazione di un fastidio verso l’apparente ineluttabilità delle guerre - quando oramai le guerre si combattono per il potere economico, e chi è appena appena “fuori dal coro” lo capisce.
Una domanda che leggo spesso in tante occasioni, è la classica “Ma dov’eravate voi pacifisti, quando…?” il tutto a sottolineare apparenti parzialità nel giudizio dei movimenti: No a Bush e pertanto sì a Saddam? No al capitalismo delle multinazionali ma sì a D’Alema che accettava un ruolo dell’Italia nella guerra dei Balcani? Purtroppo questa domanda trova spago nell’insufficiente visibilità alle tante prese di posizione che il “popolo della pace” ha via via assunto, da parte della stampa e della televisione. Attente a sottolineare il gesto violento di gruppi isolati, o lo “schiaffo a Fassino”, e non accorgendosi del lavoro silenzioso e quotidiano di migliaia di volontari. Che anche verso Saddam e D’Alema (e verso tanti altri personaggi che gli stessi media hanno sempre ignorato) ebbero modo di urlare il loro dissenso, e se i media non lo raccolsero la colpa non è certo stata dei pacifisti, no?
“Popolo della pace” vuol dire anche gruppi che partecipano concretamente nella costruzione di un mondo più giusto, magari partendo da realtà nascoste dai media e pertanto ignote alla maggioranza di noi; vuol dire Associazioni i cui membri hanno spesso rischiato la vita nei luoghi “critici” del pianeta (e solo quando ci scappa il morto, forse per qualche giorno i giornali aprono la cortina di silenzio per parlarne); vuol dire diffusione “alternativa” di notizie arrivate magari “di prima mano” (e in questo la telematica e Internet hanno dato un grosso aiuto, offrendosi come “filo di collegamento” a gruppi e popolazioni altrimenti dimenticati) che mai troverete nei giornali, neanche in quelli politicamente indipendenti… e quel che scaturisce dall’esperienza di cui ho fatto cenno è ai miei occhi qualcosa di meraviglioso, che dà colore alla situazione di apparente stallo, nei diritti umani e nella giustizia, cui sembra versare il mondo attuale. Persone di buona volontà ce ne sono sempre state; la novità è nella loro capacità, finalmente, di agire insieme pur nella diversità delle azioni, e nel capire che la stessa diversità è una risorsa preziosa. Nel saper lavorare anche silenziosamente, e ritrovarsi nei momenti importanti non “a far numero” ma a testimoniare che la “società civile”, nonostante le apparenze, c’è.
Roberto Del Bianco