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Archivio della categoria 'Dalla Società Civile'

Un pericolo contingente e una ricerca illuminante

8 ottobre 2004 Pubblicato da roberto

Leggo contemporaneamente da Peacelink due notizie contrastanti, una che mi fa riandare ai tempi bui del “Crackdown”, l’altra mi riempie di un certo ottimismo per il futuro…

Tempi bui per l’informazione alternativa: è quanto racconta, allarmato, Carlo Gubitosa di Peacelink dopo la notizia del sequestro, da parte dell’FBI - non solo negli USA ma anche in Gran Bretagna, e quindi con palese violazione dei limiti territoriali - dischi e materiali della rete “Indymedia”, legata al circuito di informazione alternativa vicina ai centri sociali. Qui l’articolo di Carlo.

E’ invece di tono diverso l’articolo che lo stesso Peacelink riporta, “Nessun impero dura per sempre”. Qui il famoso studioso Johan Galtung (che previde con esattezza il crollo dell’impero sovietico) si sofferma sul futuro di un’America non più imperialista, dal momento che, secondo le sue stime, entro una ventina d’anni il grande impero occidentale soccomberà.
Succederà un golpe di stampo fascista o arriveranno, gli Stati Uniti, ad essere finalmente nazione democratica e illuminata? Questo dipenderà molto dai suoi cittadini…

Leggi qui per l’articolo completo.

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Un successo la marcia per la pace di Nairobi

20 settembre 2004 Pubblicato da roberto

Anche a Nairobi hanno sventolato le bandiere arcobaleno. Presente una delegazione italiana e, per PeaceLink, Enrico Marcandalli.

Alessandro Marescotti
18 settembre 2004

18.9.2004. Con un messaggio Sms da Nairobi apprendiamo in questo momento da Enrico Marcandalli che la marcia della Pace lì programmata per oggi è andata benissimo.

“C’erano un migliaio di persone ed era presente il vicepresidente del Kenya!”, ha scritto Enrico. Sono disponibili sul sito di PeaceLink le foto della manifestazione:
cliccare su http://italy.peacelink.org/gallerie/41

“Vogliamo inaugurare un evento che divenga una tradizione”, ha dichiarato padre Kizito, un missionario comboniano che a Nairobi ha fortemente sostenuto la costituzione dell’Africa Peace Point e questa marcia.

Ieri (17.9.04) intanto è arrivata a Roma la Carovana della pace promossa dai missionari comboniani e ad accogliarla c’era il sindaco Walter Veltroni (cfr. http://www.angelipress.net/article.php?sid=8029).

Alessandro Marescotti
presidente di PeaceLink
a.marescotti@peacelink.it

Nota: L’articolo originale è presente nel sito di Peacelink all’indirizzo http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_6988.html.

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Iraq, rapite ragazze di un’organizzazione umanitaria

7 settembre 2004 Pubblicato da roberto

E’ con tristezza che ricevo la notizia del rapimento di Simonetta Pari e Simonetta Torretta, dell’associazione umanitaria “Un ponte per…”, attiva in Iraq fin dall’inizio dell’embargo USA e seguita da tempo dal sito di PeaceLink.

Anche in questa vicenda mi sorgono interrogativi, come già ebbi a pensare dopo il rapimento e l’uccisione di Enzo Baldoni. Possibile che ciò sia accaduto proprio a persone di cuore, dall’azione energica e appassionata per i deboli e gli indifesi dalle guerre e dall’ingiustizia del potere mondiale…? Non è che anche questo (come lo fu probabilmente nel caso di Ilaria Alpi) sia un metodo per “zittire” voci e presenze forse scomode, in scenari che vorrebbero non aver testimoni?

E’ anche per questo che la nostra azione, a tutti i livelli, per un mondo più umano e più giusto, deve continuare.

Facciamoci coraggio, donne e uomini dal cuore aperto, dal pensiero cosciente e dall’ideale di pace ancora acceso nelle nostre azioni… C’è sempre bisogno di noi, è ancora lontano il giorno in cui potremmo dirci disoccupati…

Qui trovate un articolo a firma Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink e membro del comitato scientifico di IPB-Italia.

Roberto Del Bianco

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“Nonviolenza” o “Non violenza”?

28 agosto 2004 Pubblicato da roberto

Sembra un particolare banale, ma per i tanti amici che scrivono, discutono e traducono di tematiche pacifiste, può essere essenziale comprenderne la differenza per chiarire idee e posizioni.

Perché, se leggete il commento di Carlo Gubitosa qui sotto, scoprirete che…

“Nonviolento” o “Non violento”?
Io direi che sarebbe meglio utilizzare l’aggettivo “nonviolenta” per tutte le iniziative che rientrano nel quadro della nonviolenza gandhiana, quindi anche se una organizzazione promuove una marcia semplicemente “non violenta”, noi la descriveremo come “nonviolenta” perche’ l’italiano ha questo neologismo in piu’ che ci permette di dire due cose al tempo stesso:

1) La marcia avverra’ senza atti di violenza
2) La marcia e’ una azione di lotta per la giustizia

Se invece ci sono iniziative che non rientrano nel quadro della nonviolenza gandhiana, ad esempio se l’area antagonista promuove una azione di disobbedienza civile per violare la zona rossa (ogni riferimento e’ puramente casuale) descriveremo questa azione come “non violenta” perche’:

1) Non prevede il compimento di atti violenti
2) Ma al tempo stesso non esclude di poter praticare l’autodifesa in caso di carica da parte delle forze di polizia.

La scelta al punto 2) che puo’ essere piu’ o meno condivisa dalla prospettiva del buon senso, tuttavia non coincide con la pratica della nonviolenza gandhiana, che prevede di rendere piu’ evidente una ingiustizia rispondendo con la resistenza passiva alla violenza dell’avversario, che in questo modo non puo’ giustificare le sue azioni con una nostra reazione violenta. E’ una sorta di ju-jitsu morale, se tu mi aggredisci con violenza, ti aspetti da me una reazione violenta che equilibri e sbilanci la tua azione, io invece ti sbilancio e ti spiazzo accogliendo la tua violenza e ribaltandola contro di te perche’ avro’ dimostrato il tuo intento di aggredire senza lasciarti spiragli per legittimare o giustificare le tue azioni.

Quindi ritornando al nostro problema non ci sono regole fisse di traduzione, sta al discernimento del singolo traduttore capire se l’oggetto dell’articolo da tradurre e’ una iniziativa semplicemente “non violenta” oppure una azione diretta “nonviolenta”.

Come dicevo, l’italiano, che e’ la lingua di Aldo Capitini, ci ha dato uno strumento in piu’ che in altre lingue non esiste. Questo strumento e’ la parola “nonviolenza”, con tutti i suoi derivati.

Sta a noi utilizzarlo con oculatezza, ovunque e’ possibile per diffondere la cultura della nonviolenza anche attraverso questa parola nuova, ma mai gratuitamente, perche’ si corre il rischio di fare confusione e di dare una patente di nonviolenza anche a iniziative che si caratterizzano solamente per una assenza di violenza fisica ma che vengono pregiudicate da altri atti di violenza (chiusura dei canali di comunicazione con un interlocutore che diventa un nemico, mancanza di rispetto dell’avversario, violenza verbale e altre cose).

Carlo Gubitosa - PeaceLink

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Dove va il “popolo Arcobaleno”?

4 luglio 2004 Pubblicato da roberto

Riporto come riflessione, un mio contributo a un dibattito in una “rivista di partito”, che però (il contributo) tanto “di partito” non è. Si accenna al “popolo arcobaleno” alla miriade cioé di persone che, al di fuori di tutti gli schemi delle mobilitazioni di parte, ha dimostrato da qualche anno in qua una vitalità e una forza di volontà e di fantasia non indifferenti.

Si parla della sua anima, e di come invece i media lo dipingono. Fermi forse ancora a cliché usurati dal tempo e ripresi solo dai media stessi, ma nei quali però il popolo della pace non si riconosce…

Il mondo del pacifismo attuale, e lo vedo attraverso l’ampia finestra di un’Associazione - PeaceLink - che ha proprio della “visibilità” ai gruppi che operano per la pace uno dei suoi motivi di esistere, è molto diverso da com’era, ad esempio, diversi anni fa; ed è un peccato che la maggioranza dei media sia rimasto, nelle occasioni in cui se ne parla, all’applicazione di un “cliché” oramai superato, che vede i pacifisti, appunto, fortemente ideologizzati, magari fermi a dogmi marxisti o a comportamenti da “blac block” di triste genovese memoria…
Eppure non è da poco che le lotte “a difesa delle ideologie” non hanno più motivo di essere. Dalla caduta del muro di Berlino e del comunismo reale, il fronte della lotta si è spostato dal dogma ideologico ai fatti più concreti della contrapposizione, potrei dire, tra “stili di vita”: da un lato l’attenzione all’umano, all’ambiente, all’equa distribuzione dei beni; dall’altro l’accettazione (illusoria, o forse di più, interessata) del processo di globalizzazione economico in corso, illusoria per chi ingenuamente può credere che la circolazione del denaro e la produzione dei beni a basso costo possano portare a maggior benessere, interessata per chi su questo gioco dell’economia ci guadagna.

Il “popolo della pace” parte proprio da queste contrapposizioni, visibili per chi non riesce a rimanere superficiale. E investe quindi il tema della pace partendo da lontano, in fondo è quel che già trent’anni fa vedevo vivere in gruppi “di base” attenti, ad esempio, all’ingiustizia che già allora veniva perpetrata verso i popoli del “terzo mondo”; e non è un caso che a formare l’esercito pacifico e nonviolento dei milioni di persone nelle manifestazioni, vi siano anche membri ecclesiali, missionari, uomini e donne che hanno provato sulla propria pelle cosa volesse dire emarginato o semplicemente “non occidentale”.

E quindi lo stesso amore per la pace è conseguenza di un amore per la giustizia, e manifestazione di un fastidio verso l’apparente ineluttabilità delle guerre - quando oramai le guerre si combattono per il potere economico, e chi è appena appena “fuori dal coro” lo capisce.

Una domanda che leggo spesso in tante occasioni, è la classica “Ma dov’eravate voi pacifisti, quando…?” il tutto a sottolineare apparenti parzialità nel giudizio dei movimenti: No a Bush e pertanto sì a Saddam? No al capitalismo delle multinazionali ma sì a D’Alema che accettava un ruolo dell’Italia nella guerra dei Balcani? Purtroppo questa domanda trova spago nell’insufficiente visibilità alle tante prese di posizione che il “popolo della pace” ha via via assunto, da parte della stampa e della televisione. Attente a sottolineare il gesto violento di gruppi isolati, o lo “schiaffo a Fassino”, e non accorgendosi del lavoro silenzioso e quotidiano di migliaia di volontari. Che anche verso Saddam e D’Alema (e verso tanti altri personaggi che gli stessi media hanno sempre ignorato) ebbero modo di urlare il loro dissenso, e se i media non lo raccolsero la colpa non è certo stata dei pacifisti, no?

“Popolo della pace” vuol dire anche gruppi che partecipano concretamente nella costruzione di un mondo più giusto, magari partendo da realtà nascoste dai media e pertanto ignote alla maggioranza di noi; vuol dire Associazioni i cui membri hanno spesso rischiato la vita nei luoghi “critici” del pianeta (e solo quando ci scappa il morto, forse per qualche giorno i giornali aprono la cortina di silenzio per parlarne); vuol dire diffusione “alternativa” di notizie arrivate magari “di prima mano” (e in questo la telematica e Internet hanno dato un grosso aiuto, offrendosi come “filo di collegamento” a gruppi e popolazioni altrimenti dimenticati) che mai troverete nei giornali, neanche in quelli politicamente indipendenti… e quel che scaturisce dall’esperienza di cui ho fatto cenno è ai miei occhi qualcosa di meraviglioso, che dà colore alla situazione di apparente stallo, nei diritti umani e nella giustizia, cui sembra versare il mondo attuale. Persone di buona volontà ce ne sono sempre state; la novità è nella loro capacità, finalmente, di agire insieme pur nella diversità delle azioni, e nel capire che la stessa diversità è una risorsa preziosa. Nel saper lavorare anche silenziosamente, e ritrovarsi nei momenti importanti non “a far numero” ma a testimoniare che la “società civile”, nonostante le apparenze, c’è.

Roberto Del Bianco

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