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Archivio della categoria 'Progetto Iraq'

Conferenza nel Kurdistan - Il discorso di Fulgida Barattoni

18 marzo 2008 Pubblicato da roberto

ROSH BASH BOHAMUTAN
SABAH ALHER AL CUL
GOOD MORNING TO EVERY BODY
BUON GIORNO A TUTTI

Autorita’, sindaci, rappresentanti della societa’ civile dell’Iraq,
Il mio nome e’ Fulgida e mi piace essere Fulgida per tutti e per il solo mio nome essere da tutti voi chiamata e riconosciuta.

Oggi e’ un buon giorno perche’ finalmente siamo tutti qui italiani, iracheni, sunniti, shiiti, kurdi, tutti uniti per la pace.
La societa’ civile ovunque nel mondo e’ composta da mamme, bambini, mariti e nonni e oltre ogni differenza di cultura e religione, TUTTI vogliono la stessa identica cosa, vedere crescere i loro figli, offrire alle generazioni a venire un futuro senza la paura, IN PACE.

Alle soglie del terzo millennio la rete mondiale dei sindaci per la pace Mayors for Peace che e’ presieduta dal sindaco di Hiroshima Akiba Tadatoshi si annuncia essere una straordinaria opportunita’ per una pace che proviene dalla gente che parla attraverso i propri rappresentanti, i sindaci, che sono quell’istituzione di primo livello che puo’ mediare i bisogni e le ragioni della societa’ civile con le ragioni dei governi centrali perche’ il sindaco ha un compito molto importante: prima ancora di amministrare e rappresentare la propria comunita’ il sindaco ha il compito di PROTEGGERE i propri cittadini, i bambini, le mamme i nonni ed e’ per questo che siamo qui UNITI tutti insieme DAL GENOCIDIO ALLA PACE per fare della tragedia di Halabja un momento di riflessione per tutti per una pace al futuro perche’ MAI PIU’ i bambini debbano morire cosi’.

Quando un bambino muore il grido delle madri della terra si alza disperato perche’ i nostri figli sono la vita, sono la speranza, sono il futuro per noi, per il nostro paese e per tutta l’umanita’ intera.
Guardiamoci negli occhi e pensiamo che noi tutti siamo mamme, babbi e Dio ci ha dato un compito, proteggere, educare, crescere i nostri figli.
Se stiamo UNITI, se sapremo passare oltre le nostre differenze - ditemi dove sono io differente da una madre Irachena, sunnita, shiita, kurda che siede qui in questa sala? forse che non amiamo i nostri figli nello stesso modo? forse che l’amore e’ diverso a seconda della differenza di razza o etnia?
Se specialmente i sindaci siano essi sunniti, shiiti, kurdi sapranno unirsi per difendere i loro cittadini per una esperienza di pace che viene dalla gente per la gente allora la pace ci sara’.

Ringrazio il sindaco di Halabja Karem Kheder per avere saputo credere al futuro, per avere aperto la porta alla Mayors for Peace in IRAQ per avere realizzato questo straordinario evento ma un grazie va a tutti i giornalisti delle testate, delle televisioni, dei media, operatori nazionali e internazionali che questa mattina sono qui con noi a lavorare con noi: voi siete le persone PIU’ IMPORTANTI perche’ con il vostro lavoro mostrate alla comunita’ internazionale al mondo che TUTTI UNITI un progetto orizzontale di pace dal basso e’ possibile.

In Italia, in Sicilia nascera’ un centro per la pace in Medio Oriente e Mediterraneo. Questo centro sara’ il luogo dell’incontro e del dialogo, il luogo dove la gente si incontrera’ non per superare le proprie differenze che anzi possono essere anche una forza, si incontrano per trovare quei punti comuni da difendere, per i quali unirsi e per i quali combattere.

Consentitemi un grazie speciale con tutto il cuore, questo grazie speciale e’ per un’amica, per una donna, una donna del vostro Paese, una combattente per la pace GULALA SALIH che da tre anni lavora con me per promuovere la pace
Gulala ha costruito un ponte fra l’Italia e l’Iraq. Questa giovane donna mi ha insegnato una cosa molto importante, anche quando le cose sembrano non andare nella direzione che noi desideriamo, anche nelle condizioni piu’ avverse, questa donna mi ha insegnato che non bisogna mollare mai, che bisogna stare tutti uniti per la pace e che uniti NOI VINCEREMO!

Nota: Si segnala un link dove trovare immagini dell’evento:
http://pukmedia.com/kurdish/index.php?option=com_content&task=view&id=9904&Itemid=1

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Istituzioni Locali e Associazioni di Pace in missione in Iraq

14 marzo 2008 Pubblicato da roberto

Nell’Estate del 2006, nel corso di quattro giorni nell’Isola di Pianosa, venne organizzato un tavolo di discussione e progettazione tra delegazioni di Istituzioni e Associazioni Italiane e rappresentanti Iracheni per la definizione delle priorità di intervento e di cooperazione in favore della ricostruzione dell’Iraq nel dopoguerra. L’incontro portò al c.d. “Documento di Pianosa” articolato in cinque punti di intervento (1. Soluzione del conflitto ed Educazione alla Pace, 2. Cooperazione per la salute e servizi socio-sanitari, 3. Politiche per la legalità e la democrazia, 4. Politiche riguardanti la condizione femminile e le pari opportunità, 5. Politiche per lo sviluppo economico) che ha condotto alla definizione di svariati progetti in materia sanitaria, curati dal Ministero della Sanità e dall’Ospedale Pediatrico Mayer di Firenze, e in materia di sicurezza.
In rispetto del “promuovere un cambiamento culturale rivolto alla convivenza pacifica (…) avviare intensi rapporti con le istituzioni (…) allo scopo di facilitare le relazioni fra le diverse etnie anche realizzando eventi d’incontro.” previsto dal punto 1 del documento di Pianosa una delegazione Italiana mista di Rappresentanti delle Amministrazioni locali e delle Associazioni di pace parteciperà al convegno internazionale “Dal Genocidio alla cultura di Pace” previsto per i giorni 16,17,18 marzo 2008 nella città di Sulemanya con interventi mirati al superamento del conflitto inter-etnico e alle strategie di peace-keeping.

Saranno così in Iraq: Fulgida Barattoni, membro del Board di IPB di Ginevra e past President di IPB-Italia, Alberto Barbero, vicepresidente di AssoKipling e Membro del Comitato scientifico di IPB-Italia, Pol Dhuyvetter, funzionario della campagna “Vision 2020” di Mayors for Peace, Eleonora Mappa, Associazioni di Volontariato di Campi Bisenzio, Dante Marchionni, Assessore alle politiche di Pace del Comune di Campi Bisenzio in rappresentanza del Sindaco di Campi Bisenzio, Andrea Misuri, IPB-Italia, Jessica Scambiato, reporter, Attilio Sigona, in rappresentanza del Sindaco di Pozzallo.
La delegazione sarà accompagnata da Gulala Salih, Responsabile di IPB-Italia per i rapporti con l’Iraq e il medio oriente e Nadim Rashid Rapresentante della Comunità Kurda In Italia , che dall’Italia hanno coordinato i contatti con l’Iraq e hanno reso possibile questo importante evento.

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La torre senza scale

7 dicembre 2007 Pubblicato da roberto

mayors-erbil-e-halabja.jpgdi Andrea Misuri. Parlando con i sindaci di Erbil e Halabja.

Salar Khudur Hussain è presidente del consiglio comunale di Erbil e docente di Tecnologia all’Università. L’accompagno a cercare dei regali per i quattro figli dei quali mi parla fiero. Il viso ovale, i piccoli baffi brizzolati, Salar comunica con gli occhi un’istintiva simpatia che trasmette all’intorno e un’attenzione speciale a ciascun interlocutore. Nella difficoltà della traduzione, un’espressione dello sguardo aiuta a sostituire la parola mancante.
Khedr Kareem è sindaco della città martire di Halabja. Completo blu e camicia bianca, la cravatta con i gigli di Firenze dalle tonalità oro e azzurre, ricordo della visita di un anno fa. “La Nazione”, il quotidiano della città, lo descrive: “La sua voce è ferma. I suoi grandi occhi neri sono tristi”. E’ il resoconto della conferenza stampa a chiusura del convegno voluto dal vice presidente di Mayors for Peace e sindaco di Firenze Leonardo Domenici, che ha visto tanti sindaci riuniti nel Salone dei Cinquecento. Sotto i pannelli dipinti da Vasari e circondati dai grandi affreschi che descrivono le battaglie e i successi militari di Firenze su Pisa e Siena, i sindaci di MfP hanno discusso e approvato l’appello per l’eliminazione delle armi nucleari. La “testimonianza” di Kareem fa male, penetra come una lama nell’attenzione dei presenti, messaggio di dolore per la sofferenza degli abitanti di Halabja e, con loro, di un intero popolo.
Salar e Khedr hanno davvero nella vivacità degli occhi, nella loro capacità comunicativa, un punto che li accomuna fortemente.
Con loro ho parlato a lungo tra un incontro e l’altro, nei tre giorni d’intensi contatti e colloqui che hanno avuto in città, a margine del convegno. Di quel 16 marzo 1988. Gli aerei che arrivano sopra Halabja distribuiscono la morte e sofferenze infinite ai superstiti. In seguito con la dinamite si fanno saltare gran parte degli edifici della città. Molti scappano in Iran. Il confine corre ad una manciata di chilometri, dietro la catena montuosa. A marzo c’è ancora la neve ad imbiancare i picchi. Sono trascorsi vent’anni, molti dei profughi non sono più rientrati.
Chi è rimasto, attende risposte forti a grandi problemi. Il terreno e le acque dell’intera provincia sono tutt’ora inquinati. Si scavano pozzi sempre più profondi, ma non è sufficiente. Per sopravvivere ci si affida a piccole attività commerciali.
E’ una realtà che ritroviamo in altre zone dell’Iraq, penso a Bassora. L’uso delle armi chimiche uccide lavori millenari legati al ciclo della terra e all’allevamento del bestiame. Halabja era conosciuta per i suoi pomodori, forse i migliori sui mercati dell’Iraq. Oggi quei pomodori hanno pochi compratori, troppa la paura del terreno contaminato.
Khedr Kareem spiega come la ricostruzione della città va avanti: “Si alzano nuovi edifici, si lavora alla realizzazione di una rete idrica. Si progettano strade e infrastrutture indispensabili come volano di un’economia ferma per troppo tempo. Il futuro è un bacino di raccolta delle acque che risolva definitivamente la carenza idrica della regione. Si lavora al progetto, e intanto si cerca di raggiungere il budget necessario per partire”.
Si parla del passato di Halabja e il discorso va a cadere, e non può essere diversamente, su Adela Khanm e Shamsa Khanm, donne che hanno governato con saggezza il Principato in epoche diverse, quando qui c’era l’Impero Ottomano e mussulmani, cristiani ed ebrei convivevano pacificamente. La conferma del ruolo che la donna ha da sempre nella società curda.
Un tempo, è vero, le donne ricevevano meno istruzione. Oggi, soprattutto nelle città, questo divario sta sparendo. Sono rimaste alcune attività lavorative prerogativa dei soli uomini, in particolare nell’edilizia. Le donne che intraprendono ingegneria sono soltanto il trenta per cento. Il processo è però in atto. Sono guidati da donne diversi Ministeri in Kurdistan e due anche a Baghdad. Va aggiunto che le donne sono ben presenti anche nella cultura. Proprio in questi giorni esce in Italia per Bompiani la trilogia di una scrittrice trentenne, Laleh Khadivi, sulla quale la casa editrice punta molto.

Erbil è città in rapida trasformazione. Ancora Salar: “C’è un master plan con progetti a fasi distribuite nel tempo, cinque, dieci, fino a trentacinque anni. E’ in atto un forte sviluppo nella lavorazione del ferro”.
Si costruiscono il Royal e l’Empire, hotel che mi appaiono, attraverso le foto sul suo pc, ultra moderni e accessoriatissimi, come gli hotel di Dubai o degli Emirati Arabi. Destinati ad una clientela d’affari e di turisti innamorati delle bellezze archeologiche che, sopravvissute alla follia della guerra, tra non molto saranno fruibili per gli appassionati.
I cantieri si stanno moltiplicando. Si lavora a grandi strade di comunicazione per superare il secolare isolamento del Paese.
La capitale si sta avviando ad un rapido sviluppo economico e ad una prossima esplosione demografica. I 980.000 abitanti del 2006, si prevede saranno 1.232.000 nel 2010, per arrivare a 2.500.000 nel 2030.
Con le slides scorrono veloci grafici, diagrammi e “torte” colorate. Puntini rossi, gialli, blu, verdi segnalano le trasformazioni del tessuto sociale. La situazione della città e i suoi dintorni, gli scenari futuribili, le politiche strategiche dello sviluppo urbano. Indagini socio-economiche, sulle strutture industriali e commerciali, sui servizi sanitari e di comunità ne fotografano il presente e il futuro.
Erbil, costruita intorno al suo millenario castello, diverrà presto patrimonio comune dell’umanità, quando si concluderà l’iter del progetto dell’Unesco. La cultura svolge qui un ruolo importante. Molte le sale per le conferenze, tre o quattro i teatri. Due sale cinematografiche proiettano film indiani, cinesi, giapponesi. Non mancano quelli americani ed europei. Arrivano anche film italiani, ma dei nostri attori, gli amici curdi ricordano soltanto i nomi di Sophia Loren e Claudia Cardinale.
All’Università ci sono due dipartimenti di lingua inglese ed uno di francese.
Non sorprende sapere che i sindaci conoscono alcune opere letterarie italiane. La vita di Galileo, Il Principe di Niccolò Machiavelli, La vita di Leonardo da Vinci e quella di Michelangelo.
Erbil ha vinto l’ultimo campionato di calcio iracheno. Quest’estate la vittoria dell’Iraq in Coppa d’Asia. Salar e Khedr non sono tifosi di calcio. “Lo è mio figlio” ricorda Salar. Concordano, però, nel rilevare come questo successo ha unito l’intero Paese. Aggiungono che molti sono gli sport praticati: tennis, basket, restling, pallavolo maschile e femminile. Fra i più diffusi, il gioco della dama ed un altro che mi ha ricordato quello delle tre carte, sostituite dai cappelli tipici curdi.
Tra le città del Kurdistan, Erbil è sicuramente quella più in bilico tra passato e presente. La relativa sicurezza di un territorio che attira investimenti occidentali, i proventi dell’estrazione del petrolio che cominciano a tornare nel Paese, il ruolo strategico di una regione che si trova a giocare un ruolo chiave nello scacchiere mediorientale, spingono a guardare in avanti, attenti comunque a tenere ben salda la memoria storica, che trapela, palpabile, ad ogni angolo, girando nella città vecchia.
C’è una storia curda che racconta del giovane Akhmad che rinchiuso in una torre senza scale e senza vie d’uscita, trova lo stratagemma per liberarsi. La scaltrezza del ragazzo, la sua capacità di risolvere l’intricata situazione, ben rappresenta la forza d’animo del popolo curdo. Se nel passato molte sono state le torri senza scale che i curdi hanno conosciuto, il presente indica una via d’uscita
che questo popolo sta già percorrendo.

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Per un 2707 di Pace

20 marzo 2007 Pubblicato da roberto

Ecco un racconto che è un racconto di storia, e, insieme, un ricordo.
Il 21 marzo - non solo dal popolo curdo, ma presso tutti i popoli di stirpe iranica - dai tempi dei tempi si celebra il “Nuovo Giorno”, appunto, il Newroz.
Dalla penna di Andrea Misuri un articolo fresco di ricordi e antico di storia. Che immerge anche noi lettori, quasi per magia, tra i popoli e le tradizioni di quella regione dove nacque la nostra civiltà.

In queste ore, sugli spalti del Castello di Erbil, stanno bruciando i falò.

E’ il Newroz, il capodanno delle popolazioni di origine iranica, il “Nuovo Giorno”.
Oggi si entra nel 2707. Nella ricorrenza si ritrovano aspetti mitici, storici, sociali, che ne fanno un momento di forte identità per un popolo, quello curdo, da tempi immemorabili perseguitato e disperso. La diaspora curda, meno conosciuta di quella di altri popoli, se si guarda al numero di persone coinvolte è sicuramente fra le più grandi. Ben si comprende, quindi, come in questo caso, il mito abbia svolto una fondamentale funzione di coesione, legando l’origine del popolo ad eroici antenati pre-islamici.
Mi piace ricordare che del coraggio dei combattenti curdi parla già l’Anabasi di Senofonte. Una campagna militare di oltre due millenni fa, culminata nella effimera vittoria di Cunassa (401 a.C.) in cui Ciro il giovane trovò la morte, e in una faticosissima ritirata di migliaia di chilometri. I 10.000 opliti greci, mercenari al servizio di Ciro, spintisi fino all’odierna Baghdad, tornarono indietro, cercando di raggiungere le lontane rive del Mar Nero (sorvoliamo sulle possibili analogie con la storia attuale). Accadde dunque che i fuggiaschi attraversarono il territorio dei Curdi, noti come Caduchi, che “vivevano sulle montagne ed erano un popolo bellicoso, che rifiutava di obbedire al re” (Anabasi, III, 5, 16). Certamente, un incontro per niente amichevole. Anche Marco Polo, tanti secoli dopo, descrive i Curdi come “tristi e bellicosi”.
Ma torniamo agli antenati della tradizione. E’ il poema epico “Il Libro dei Re” di Firdusi, del X secolo d.C., che racconta la genesi culturale dei popoli iranici. E’ leggendo queste pagine, peraltro bellissime, poetiche, ricche di notizie sulla vita quotidiana in quelle epoche antiche, che possiamo riavvolgere il filo del tempo, conoscere eventi fantastici collocati in un passato molto remoto.
Si favoleggia che il despota Dahak avesse sulle spalle due serpenti che ogni giorno si nutrivano con il cervello di due giovani curdi. Ma il servitore che doveva uccidere i fanciulli, preso da pietà, ogni giorno ne uccideva uno soltanto, sostituendo il cervello dell’altro con quello di una pecora. I giovani sopravvissuti si rifugiarono sulle montagne. Così nacque il popolo curdo, “gli uomini delle montagne”.
Un giorno, Kawa un umile fabbro ferraio d’Isphahan (nell’attuale Iran), il cui figlio doveva essere dato in pasto ai serpenti, trovò il coraggio di opporsi al tiranno. Kawa prese il suo grembiule di cuoio e lo issò su di un asta, facendone la bandiera che avrebbe guidato gl’insorti. I fuochi accesi sulle montagne sarebbero stati il segnale della rivolta. Fu richiamato il legittimo discendente regale, il giovane Fredun. La popolazione, guidata da Kawa, rovesciò la dittatura.
Fredun catturò Dahak e lo portò sulla catena montuosa di Alborz, e lo legò in catene sulla sua cima, Damavand. Ancor oggi Damavand svetta alta verso il cielo, con i suoi oltre 5.000 metri, a nord-est di Tehran. La sua punta, perennemente coperta di neve, è visibile da ogni angolo della città. Lo sviluppo urbanistico, ormai, ne lambisce i primi contrafforti, indifferente alle leggende raccolte dal poeta Firdusi. Attualmente, sul Davamand, al campo base di Goosfand Sara (La dimora delle pecore) e al rifugio di Bazrgah-e-Sevom (Terzo color grano), quando la stagione lo permette, s’incontrano esperti scalatori, che si stanno acclimatando alla quota, in attesa della salita finale.
Abbiamo visto come il grembiule di Kawa fosse diventato il vessillo della rivolta. Un oggetto semplice, di uso quotidiano, assurgeva così a punto di riferimento di un popolo oppresso. Insieme al fuoco, da sempre indispensabile a forgiare gli oggetti nelle botteghe dei fabbri e divenuto simbolo della lotta al crudele Dahak. Quello stesso fuoco che da tempo immemorabile veniva acceso in luoghi diversi, prima dell’alba dell’equinozio di primavera, dalle antiche popolazioni. Quel fuoco con cui si usava venerare Mazda, il dio di cui Zaratustra era il profeta, prima che i curdi si convertissero all’Islam, quando entrarono a far parte dell’Impero Ottomano, nel VII secolo d.C.

La leggenda di Kawa, in realtà, trova un radicamento nella storia. Con un riferimento preciso alla vittoria dei Medi sugli Assiri e la distruzione della loro città più bella, Ninive.

Ninive si trovava vicino all’attuale Mossul. Lungo il Tigri, crocevia di comunicazione fondamentale sulla via che univa l’Oriente ai Paesi che si affacciavano sulle rive del Mediterraneo.
Quartieri residenziali si alternavano ai templi. Lungo le possenti mura che chiudevano la città, furono costruite diciotto grandi porte, a guardia delle quali furono poste gigantesche statue di tori dalla barba riccia, guardiani che incutevano timore ai visitatori.
Ninive raggiunse a quel tempo i 120.000 abitanti, gran parte dei quali importati a forza dalle città nemiche distrutte. Un numero impressionante per l’epoca. Nel racconto biblico di Giona è chiamata la città “dei tre giorni di viaggio”, ad indicare la sua grandezza.
I re assiri che si succedettero portarono avanti una politica di conquista nei confronti di popoli anche lontani dalle loro terre: Caldei, Filistei, Cimmeri, Mannei, Sciti, Medi. Nessuno si poteva considerare al sicuro dalla voglia di conquista degli Assiri. Fu invaso l’Egitto. Poi toccò al regno di Elam. Furono sconfitti gli Arabi, alleati di Babilonia, la grande nemica. La mitica Babilonia fu completamente distrutta. E con lei, quella Torre di Babele, simbolo della presunzione dell’uomo.
Nel 612 a. C. un’alleanza tra i Medi del re Ciassare e i Babilonesi del re Nabopolassar portò all’assedio di Ninive. Durò tre mesi. Troppo estesa la città, troppe le porte da proteggere. L’alleanza contro il comune nemico aveva permesso di raccogliere un gran numero di assedianti che sconfissero gli Assiri. La lunga oppressione era terminata.
Da quell’anno decorre il calendario dei Curdi, con ogni probabilità discendenti dei Medi, che si erano mescolati con la popolazione autoctona che abitava quei territori.

Il Newroz si festeggia in Irak, Iran, Pakistan, Afghanistan, oltre che in alcune regioni dell’India e della Cina abitate da minoranze iraniche. Questo non succede in Turchia, dove la ricorrenza coincide ormai, da molti anni, con una stretta sorveglianza dei militari e con dure repressioni della popolazione curda. Il Newroz diviene occasione d’identità. Il segnale annunciato di un malessere, di un desiderio di libertà pericolosi per il potere. L’atteggiamento delle autorità ha fatto sì che per il 21 marzo, nel Kurdistan turco, ogni anno, arrivano numerosi osservatori internazionali.

Alle prime luci dell’alba, i fuochi sugli spalti del Castello di Erbil si vedono da ogni angolo della città, a ricordare la rivolta del fabbro Kawa.
Da lassù, vicino ai falò, il bazar sottostante si estende a perdita d’occhio. Dagli spalti, illuminati dal riverbero delle lingue di fuoco, sembra quasi di percepire i profumi e gli odori che fra poco usciranno dalle mille botteghe sottostanti. Le grida dei venditori che si mescoleranno, inseguendosi, a quelle dei compratori intenti a mercanteggiare sul prezzo.
Intanto, la città si sveglia al “nuovo giorno” di festa. Lunghe colonne di auto e di mezzi d’ogni sorta prendono la strada che a nord di Erbil s’allunga verso la campagna: un rettilineo infinito, sorvegliato, a intervalli regolari, da gruppi di soldati. Sorridono, scambiando saluti e parole con le famiglie festanti.
Il Newroz è anche occasione per capire meglio il ruolo della donna nella società. Ruolo e libertà decisamente maggiori rispetto a quelle di altri Paesi islamici. Un aspetto, questo, della società curda, già evidenziato dai viaggiatori occidentali nei secoli passati. Lo si può vedere dagli abiti indossati dalle donne in questo giorno di festa. Abiti dai colori vivaci, che non nascondono la femminilità. Lo si nota dalle danze popolari, spesso di donne e uomini insieme, accompagnate da una musica coinvolgente. Danze che vanno avanti per ore, sui prati, fermandosi e ripartendo in un incessante inno alla voglia di vivere. Tenendosi per mano, o per le braccia, eseguono girotondi dalle tante varianti. Queste danze rappresentano un aspetto importante della vita sociale.

Mi fa piacere pensare che in queste ore, a Erbil, a Sulaymanya, a Halabja, a Balessan, a Chamchamal, ma anche a Baghdad, come in Canada e in Italia, gli amici che abbiamo conosciuto stanno festeggiando. Ballando e cantando le canzoni della tradizione, mangiando kebab, kifta e yogurt sulle tovaglie apparecchiate sui prati, guardando i fuochi che bruciano sulle colline, a simboleggiare l’antica voglia di libertà di un popolo.
Kareem, Ara, Muhamad, Hero, Dana, Shreein, Mahtab, così come Gulala, Nadhim e Rashid, che il 2707 possa essere per voi, per noi e per tutti un anno davvero “nuovo” di pace ed amicizia.

Nota: L’articolo (corredato di foto) è pubblicato anche nel sito di Peacelink.

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Newroz: Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

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“Appunti da un viaggio in Kurdistan” - due incontri di presentazione

8 febbraio 2007 Pubblicato da roberto

A Firenze e a Campi Bisenzio, rispettivamente il 16 e il 22 febbraio, si svolgeranno due incontri di presentazione del libro “Appunti da un viaggio in Kurdistan” di Andrea Misuri, che racconta le vicende della delegazione dei “Mayors for Peace” italiani durante la visita nel Kurdistan iracheno della primavera scorsa:

• Al Circolo ARCI “Due Strade”, in via Senese 129/R a Firenze, venerdì 16 febbraio alle ore 21, in collaborazione con la Fondazione “Antonino Caponnetto”. Saranno presenti oltre all’autore, Fulgida Barattoni dell’IPB-Italia e il giornalista Francesco Nocentini. Nel corso dell’evento sarà proiettato il documentario di RaiNews24 “Le battaglie di Halabja” girato nel Kurdistan la primavera scorsa da Flaviano Masella reporter al seguito della delegazione di pace.

• A Villa Rucellai, a Campi Bisenzio alle 21,15, la presentazione avverrà giovedì 22 febbraio, nell’ambito dell’iniziativa “Comuni, ponti di Pace”. Presenti oltre all’autore, Fiorella Alunni sindaco di Campi Bisenzio e Fabrizio Nucci giornalista del periodico “Metropoli”. Al termine della serata è previsto un “Brindisi alla pace”. Per informazioni, Eleonora Mappa tel. 055/8959482.

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