Alberto L’Abate, docente universitario fiorentino impegnato in diverse attività di sostegno alla pace e di educazione alla nonviolenza, si trova in India per una serie di cure mediche.
Pubblichiamo parte della sua lettera pervenutaci, la sua testimonianza sulla tragedia che si è abbattuta sulle coste del Sud Est asiatico, assieme alla riflessione da essa scaturita.
Cari amici, colleghi o parenti,
scusate il mio lungo silenzio, ma la stanchezza del convegno di Firenze, di cui sono stato molto contento ma la cui organizzazione ed effettuazione mi ha portato via molta energia, l’impossibilita’ di usare il mio computer per un collegamento internet (il sistema Alice che avevo prescelto mi impedisce di ricevere anche la mia posta normale del sistema informatico dell’Universita’, l’unico indirizzo a cui ricevo posta e’ alberlab@yahoo.it, ma quasi nessuno lo conosce perche’ speravo di ricevere posta al mio indirizzo normale), la non sempre facile reperibilita’ di un negozio internet (ce ne sono molti ma in questo momento, ad esempio, essendo in una casa di cure naturali, si preferisce che i clienti non escano fuori e ci vuole un permesso speciale della dottoressa) mi hanno impedito di scrivere se non per problemi urgenti pendenti. Ma ho saputo che vari di voi leggendo del maremoto che ha colpito una parte dell’India e sapendoci da queste parti si sono preoccupati ed hanno chiesto nostre notizie. Noi stiamo tutti bene, a parte piccoli problemi di salute legati al cambiamento di cibo e di clima, ed in questo momento io, Anna Luisa e Maria stiamo godendo delle ottime cure naturali in una bella clinica di Coimbatore - un comune del Tamilnadu vicino al confine dello stato del Kerala -, fondata dai genitori seguaci di Gandhi di un industriale che la considera un servizio pubblico e non pretende di guadagnarci, dove eravamo gia’ stati due anni fa.
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Ma passiamo ora al secondo capitolo di questa lunga lettera: quello sul maremoto che ha colpito parte dell’India. Delle quattro persone che abbiamo viaggiato insieme dall’Italia, io, mia moglie, mia figlia Irene, e Maria, una amica di Pisa vicepresidente dell’Unicef di quella provincia e attiva anche nei Berretti Bianchi, una organizzazione molto impegnata nella Rete italiana dei Corpi civili di pace (che con la nostra Universita’ ha organizzato il convegno di dicembre), i primi tre hanno passato quei giorni a Goa, facendo i bagni di mare e non avendo, del maremoto, che qualche onda piu’ alta che costringeva ad essere attenti a non essere travolti ed a ritornare salvi a riva; la quarta, Maria, era invece proprio in un villaggio del Tamilnadu che e’ stato il piu’ colpito in assoluto di tutta l’India (basti dire che dei 6.202 morti dichiarati ad oggi nello stato del Tamilnadu, 4.379 vengono proprio dal distretto in cui e’ collocato quel villaggio), ed ha vissuto percio’ in modo estremamente diretto proprio quell’avvenimento.
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Di noi tre, goani, c’e’ poco da dire. Eravamo andati a Goa per passare il Natale con mia figlia Alessandra, che ha scelto l’India come sua seconda patria, e Goa come sede indiana per la vendita dei prodotti tessuti a mano dagli artigiani del Tamilnadu - in gran parte del Gandhigram, villaggio universitario con il quale la nostra Universita’ di Firenze e’ gemellata, ed in gran parte colorati con colori naturali sui quali in quel villaggio c’e’ uno dei punti di ricerca piu’ avanzati dell’India stessa.
A Goa, nei mesi da novembre fino a marzo-aprile c’e’ una grossa affluenza di turisti da tutto il mondo, ed Alessandra vuole assicurare, attraverso un mercato locale speciale per turisti, che si tiene tutti i sabato sera con la presenza di varie migliaia di persone, e con un punto di vendita di tali prodotti, un valido mercato a questi prodotti che sono molto apprezzati dai turisti (un giornale locale ha pubblicato un articolo sul suo lavoro intitolandolo “il fascino dei colori naturali”).
Ma oltre a questo mercato Alessandra e’ in collegamento con molti negozi del mercato equosolidale in Italia, ed anche all’estero, verso i quali sta anche cercando di commercializzare tali prodotti facendo anche un lavoro tecnico di assistenza per migliorare il prodotto (Alessandra e’ essa stessa una tessitrice a mano e si occupa attualmente, come dice lei, di “tessere rapporti”).
Ma lavora in particolare in collegamento con il Ram, una associazione italiana che oltre a distribuire tali prodotti si occupa anche di turismo responsabile, di cui lei guida alcuni viaggi nel Sud dell’India, in particolare nel Tamilnadu, portandoli a visitare l’India dei villaggi e dei progetti di sviluppo alternativo, alcuni dei quali sostenuti ed ideati da
lei stessa e da alcuni suoi amici che ne condividono le ispirazioni.
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Uno di questi progetti, un villaggio per bambini abbandonati o di strada, in parte gia’ costruito ed in parte ancora in costruzione, si trova proprio vicino a Velankanni, del distretto di Nagapattinam, ed e’ gestito da una associazione di giovani gandhiani, Sevalaya, di cui Alessandra e’ attiva sostenitrice.
Mentre noi eravamo con Alessandra a Goa la nostra amica Maria di Pisa era invece andata a trovare proprio gli amici di Sevalaya, ed a visitare il villaggio suddetto.
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Mentre si trovava la’ e’ avvenuto il maremoto che ha distrutto completamente un ponte che univa le due parti di quella zona ed ucciso migliaia di persone.
Le acque sono arrivate a non molti metri dal villaggio stesso. Maria e le famiglie degli operatori di Sevalaya si sono ritirate a maggiore distanza dal mare, mentre i suoi operatori si sono dati da fare per alleviare i danni di molte delle famiglie colpite.
Nel prosieguo di questa lettera e’ riportato l’appello di questa organizzazione per avere aiuti e svolgere questo lavoro.
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Ma prima vorrei fare un breve commento su quanto accaduto, anche per le somiglianze con quanto puo’ accadere per il fenomeno guerra.
Quello che e’ successo ha tutte le caratteristiche di quei disastri naturali che e’ condiderato impossibile prevenire.
Ma nella realta’ su tutti i giornali dell’India e’ apparsa la notizia che disastri di questo tipo sono prevedibili, tanto che il governo ha poi deciso di costituire, con gli altri paesi dell’area, un servizio speciale per la previsione di fenomeni di questo tipo.
E la corretta previsione del fenomeno puo’ portare almeno ad avvisare in tempo le persone ed a permettere loro, con l’aiuto di un valido servizio di protezione civile, che sembra ancora da organizzare, di mettersi in salvo.
Molte volte non ci vuole nemmeno molto, basta salire di un piano nelle abitazioni a piu’ piani.
Cosi’ e’ successo alla figlia del segretario generale di Sevalaya che studia in un college non troppo distante da quella zona ed in vicinanza del mare.
Dalla sua stanza al secondo piano ha sentito dei rumori, si e’ affacciata alla finestra, ed ha visto le immense onde del mare (si parla di una altezza di oltre 9 metri) avvicinarsi, ha chiamato le compagne che incontrava ed e’ scappata subito al piano superiore. Lei e le altre compagne che l’hanno seguita si sono salvate, tutte le altre che sono restate nei piani inferiori sono state travolte dalle acque e sono morte.
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Altre notizie che mostrano la possibilita’ di prevenire la morte di tante persone in disastri come questi sono riportate in un articolo del giornale “The Hindu” del primo gennaio 2005.
In un articolo intitolato “Una telefonata ha salvato un intero villaggio” si narra del fatto che un volontario di un progetto di informazione nei villaggi che si era trasferito a Singapore appena visto il maremoto in azione in quella zona ha telefonato ai suoi vecchi compagni di lavoro avvisandoli del pericolo imminente. Attraverso altoparlanti e sirene gli abitanti sono stati avvisati di evacuare le loro abitazioni. Il risultato e’ stato che nessuna persona del villaggio e’ restata vittima del maremoto.
Un’altra notizia sulla possibile prevenzione di morti e’ riportarta dal giornale “The Hindu” del 31 dicembre. Li’ si parla del fatto che intere comunita’ tribali che ci vivono, o altre persone che si sono recate nelle foreste vicine al mare, si sono salvate grazie alla protezione degli alberi della foresta, mentre le altre che si trovavano nelle zone senza alberi sono state trascinate in mare e sono morte. Il titolo dell’articolo e’ infatti “Dove le foreste hanno salvato la popolazione”.
E questo fa venire in mente gli immensi danni ecologici causati dalle multinazionali che hanno promosso in vari paesi del terzo mondo, ed anche in molte aree del Tamilnadu, la coltivazione industriale di gamberi. Infatti per costruire le vasche dove questi animali vengono allevati, vengono distrutte le foreste di Mongrovie che riparavano i villaggi da fenomeni di questo tipo lasciando la popolazione del tutto in balia degli eventi naturali.
Non e’ qui il caso di trattare di questo argomento sul quale anche in Italia sono stati scritti alcuni libri e per il quale si sono distinti, nella lotta contro questi disastri, i nostri amici Jagannathan e Krishnammal, che andremo ad incontrare la settimana prossima a Gandhigram, se il lavorocontro questi disastri non impedisce loro, ed alla loro famiglia, di recarsi la’ per la grande festa del Pongal (il 15 gennaio) che dovremmo passare insieme.
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Tutto questo fa vedere come anche fenomeni considerati “naturali” ed “ineluttabili” possono essere previsti, ed almeno le loro conseguenze piu’ nefaste possono essere prevenute.
Se poi ricerche piu’ approfondite mostrassero un legame, anche se indiretto, di questi fenomeni con l’inquinamento ambientale portato avanti dall’industrializzazione dei paesi avanzati (tra i quali anche l’India sta cercando di entrare, a costi umani altissimi) e che sta creando problemi grossissimi a livello mondiale (aumento del calore della crosta terrestre, scioglimento delle calotte glaciali artiche, innalzamento dei livelli dei mari, cambiamenti climatici rapidissimi, ecc.) il problema e l’urgenza di lavorare per la prevenzione diventerebbe ancora piu’ pressante.
E’ questo un insegnamento che dovremmo tener presente e non dimenticare, per rendere realmente omaggio alle tante vittime di questo disastro (quante sono? ogni giorno i dati si aggiornano, le ultime notizie dei giornali indiani parlavano di 50.000, ma in Italia abbiamo saputo si parla di 100.000, per non parlare poi di quelli restati senza tetto e che sono dovuti scappare in zone distanti dal loro villaggio).
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Chiudero’ questa lettera riportando l’appello degli amici di Savalaya ( che significa, nella lingua locale, “Servizio ai poveri”) che ci ha portato Ravi, il collaboratore di Sevalaya che ha accompagnato in questa clinica la nostra amica che ora e’ qui con noi a godere di queste cure e che ci ha raccontato quanto da lei vissuto in quella zona.
L’appello e’ corredato di strazianti foto delle cremazioni di massa dei morti, e di notizie sui problemi dei senza casa, e su altre tragedie portate dal disastro.
Gli amici di Sevalaya, che conosciamo ormai da molti anni, ci chiedono di rendere noto il loro appello, cosa che facciamo volentieri conoscendo la loro buona volonta’ ed il loro impegno sociale.
Sevalaya,come ho detto, ha scelto di assistere la popolazione proprio di questa area tra le piu’ colpite dell’India, ed alla fine dell’appello ci sono indicazioni utili per chi volesse mandare un aiuto di prima mano, anche se modesto, alle popolazioni colpite da questo disastro.
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Sevalaya - Thirukkuvalai
Appello per aiuti alle vittime del maremoto del distretto di Nagapattinam Il 26 dicembre 2004 e’ stato un giorno tragico per noi. Enormi onde sismiche del mare mosse da un immenso terremoto del fondo marino hanno colpito il distretto di Nagapattinam uccidendo circa 5.000 persone e rendendone altre 25.000 prive di alloggio.
Le deboli scosse percepite in alcune parti del distretto intorno alle 6,30 del mattino non ci hanno fatto prevedere quello che sarebbe successo. Tra le 7,30 e le 9 enormi ondate hanno colpito le coste cogliendo di sorpresa le persone vicine al mare. Non c’e’ stato tempo per nessuno per reagire alle onde che hanno risucchiato anche le persone che erano a due chilometri dalla costa marina.
I villaggi assistiti da Sevalaya, come Puthupalli, Seruthur, Kameshwarazm, Villunthamavadai, Vettarikaranrippu, Velankanni sono stati danneggiati, e migliaia di abitanti sono stati uccisi o privati delle loro abitazioni.
Quando abbiamo visitato villaggi come Serothur, Prathaparamapruam, dopo che le acque si sono ritirate abbiamo trovato corpi di bambini e di donne annegati.
Gli abitanti di un villaggio hanno detto che “prima di rendersi conto di quello che succedeva molti hanno trovato la morte nell’acqua, e sono morti 62 bambini e 4 donne che giocavano a cricket sulla spiaggia”. Sono state distrutte tutte le abitazioni vicino alla costa. A Velankanni 2.000 persone sono annegate, tra queste una gran parte di turisti che erano andati a fare il bagno nel mare.
Le persone che vivono vicino alla costa hanno paura che il maremoto si ripeta e sono scappate in altre zone dove pensano di essere piu’ sicure.
Sevalaya ha aiutato le persone che scappavano a cucinare e rifocillarsi e si e’ curata di loro a Thirukkuvalai, ed ha dato loro sostegno morale aiutandoli a non avere paura che il maremoto si ripetesse.
La situazione e’ allarmante: centinaia di uomini, donne e bambini sono morti, e migliaia di persone sono senza tetto. Sevalaya desidera intervenire velocemente per alleviare i loro dolori, e fa appello a voi affinche’ aiutiate generosamente coloro che hanno perduto i loro familiari e la loro abitazione.
A questo scopo Sevalaya ha aperto un fondo “Tsunami Relief Fund” (Fondo di soccorso per le vittime del maremoto). Mandate per favore il vostro contributo a questo conto corrente: “Sevalaya: Tsunami Relief Fund”, A/c No. 01100060132, State Bank of India / Code No. 0936, Thiruthuraipoondi, Tamilnadu - South India.
Nota: Alberto L’Abate (per contatti: labate@unifi.it) e’ nato a Brindisi nel 1931, docente universitario, amico di Aldo Capitini, e’ impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell’attivita’ di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita’ della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario e’ stato anche un esperto dell’Onu, del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’; ha promosso e condotto l’esperienza dell’ambasciata di pace a Pristina, ed e’ impegnato nella “Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione”. E’ portavoce dei “Berretti Bianchi”. Tra le opere di Alberto L’Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001