Da più parti arrivano pareri discordanti sull’assegnazione a Barack Obama del Premio Nobel per la pace di quest’anno.
I più indicano l’evento - che comunque è gestito a insindacabile giudizio dal Comitato di cinque membri eletti dal Parlamento norvegese come deciso dalle ultime volontà di Alfred Nobel - come un “premio alle intenzioni”, un attestato di buona volontà o alla “pace preventiva”; mentre da qualcuno arrivano anche decise note di disappunto (vedi ad esempio il documento redatto dall’IPB di Ginevra).
I meriti dell’attuale Presidente USA sono noti anche se la breve storia finora maturata del suo mandato non ha ancora mostrato (anche per l’inerzia sempre presente nell’attuazione di impegni di grande portata a livello planetario) precisi segni di cambiamento nelle attuali situazioni di conflitto o di disagio nelle tante aree del mondo dove è necessario intervenire. La sua determinazione nell’abolizione completa degli armamenti nucleari, concettualmente apprezzabile e motivo della decisione di Oslo, è poi contrapposta, nel pensiero di critici e commentatori, al potere costante dell’industria bellica e alle lobbies che pure col nucleare ci lucrano. A questo punto, il tempo ci dirà se la decisione del Comitato norvegese sarà stata giusta oppure no.
Ma non solo il Nobel premia gli “operatori di pace” o chi si adopera per risolvere i problemi del mondo; e oltre al già noto Sean MacBride Peace Prize su cui diverse volte ci siamo soffermati, di un altro illustre riconoscimento diamo adesso notizia, il Right Livelihood Award, da più parti definito come una sorta di Premio Nobel alternativo, ideato dall’omonima Fondazione nata in Svezia nel 1980 e assegnato annualmente a coloro che offrono “risposte pratiche ed esemplari alle più urgenti sfide che ci investono al giorno d’oggi”.
Ogni anno una cerimonia al Parlamento svedese premia usualmente quattro candidati. A uno di essi viene assegnato un Honorary Award mentre agli altri tre viene anche corrisposta una somma complessiva di 150.000 Euro. Si tratta quindi di un riconoscimento di portata “monetaria” assai inferiore rispetto al Nobel ma ciò non sminuisce affatto la sua importanza. Esso è stato definito come il “primo riconoscimento al mondo al coraggio personale e alla trasformazione sociale”, e chi lo riceve acquisisce conseguentemente un’attenzione internazionale che altrimenti non arriverebbe ad ottenere.
I quattro assegnatari del Premio di quest’anno sono stati rispettivamente:
David Suzuki (Canada) per la sua vita spesa nella difesa dell’uso socialmente responsabile della scienza, e per il suo forte contributo nella sensibilizzazione delle persone sui pericoli del cambiamento climatico e la creazione di un sostegno pubblico alle politiche relative;
René Ngongo (Repubblica Democratica del Congo) per il suo coraggio nell’affrontare le forze che stanno distruggendo le foreste pluviali del Congo e la creazione di un sostegno politico per la loro conservazione e l’uso sostenibile;
Alyn Ware (Nuova Zelanda) per il suo impegno efficace e creativo in iniziative svolte da più di due decenni di educazione alla pace nello sforzo di liberare il mondo dalle armi nucleari;
Catherine Hamlin (Etiopia) per i suoi cinquant’anni dedicati al trattamento delle pazienti affette da fistola ostetrica, rioffrendo così salute, speranza e dignità a migliaia tra le donne più povere dell’Africa.
Anche da IPB-Italia arriva il messaggio di congratulazioni per Alyn Ware: membro dell’International Peace Bureau, è ben conosciuto anche personalmente avendo egli partecipato in diverse occasioni ad eventi anche nel nostro Paese. Alyn è conosciuto da tempo per le iniziative a favore del disarmo, soprattutto come coordinatore del PNND, “Parliamentarians for Nuclear Non-proliferation and Disarmament”, associazione dei Parlamentari per il disarmo e la non proliferazione nucleare, di cui anche in Italia sono presenti alcuni membri.
Cosa dire a conclusione di questa carrellata di notizie? Sicuramente, sono “good news” che tra i media italiani difficilmente compariranno. E se ciò può dare un po’ di sconforto nel riflettere quanto scarsa sia la percezione culturale di simili eventi nel nostro Paese, rende però un po’ meno pessimisti sul futuro della nostra insicura umanità.
Allunghiamo lo sguardo ad una visione globale del mondo, delle sue necessità e delle sue aspettative. Sicuramente guariremmo da tanti mali, e da una visione distorta della realtà che ci rende spesso inerti e forse incapaci di capire che se sono tanti i problemi nel mondo, altrettanti sono gli sbocchi che anche la nostra opera potrebbe incanalare. Gli esempi di good fellows, come s’è visto, non mancano.