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Appunti da un viaggio in Kurdistan

21 aprile 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

APPUNTI DA UN VIAGGIO IN KURDISTAN

Una delegazione dell’Ufficio Italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è stata nel Kurdistan Iracheno, ospite del sindaco di Halabja, Khidr Karem Aktar.
Vivere dieci giorni in un Paese che conosciamo esclusivamente attraverso le immagini dei telegiornali. Il popolo curdo è attualmente diviso tra Irak, Iran,Turchia e Siria. Forte il desiderio di autodeterminazione. Il sogno, un giorno essere un solo Paese. Proviamo, allora, a dipanare il filo di Arianna delle nostre emozioni.
La delegazione aveva ricevuto l’invito a partecipare, il 16 marzo, alla commemorazione del bombardamento con armi chimiche del 1988 durante il quale, a Halabja, morirono oltre 5.000 civili e ci furono più di 10.000 feriti, su una popolazione di 70.000 abitanti.

Abbiamo visitato anche alcuni di quei 5000 villaggi bombardati tra il 1987 e il 1988. E’ l’Anfal. 182000 le vittime. Desaparecidos. Tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni.
Il sindaco di Halabja , Khidr Karem Aktar, 46 anni, personalità forte, i folti baffi che scendono appena sui lati della bocca, al centro di un viso aperto e volitivo. Abiti impeccabili. Il sorriso accattivante. Per noi tutti, riferimento istituzionale costante, in questo viaggio attraverso una terra bellissima e sconosciuta.
Il 15 marzo a Halabja abbiamo visitato la scuola costruita, nel 1998, con i soldi raccolti dagli abitanti di Marzabotto, che avevano versato un’ora di salario. La scuola, per 500 bambini delle primarie, fino ai 12 anni, è composta da una decina di classi. Porta il nome di Marzabotto, così come la via e il quartiere. C è una radicata riconoscenza, a Halabja, verso la città che ha permesso di costruire la scuola. Avevamo con noi zainetti per tutti i bambini.
La visita è proseguita al Mausoleo che ricorda le vittime della strage. Per tutto il Kurdistan, un simbolo della libertà conquistata.
La mattina dopo stavamo per arrivare a Halabja, quando ci ha fermato una telefonata del sindaco. Non potevamo entrare in città.
Era prevista una manifestazione di studenti. Protestavano, accusando il Governo di ricordarsi di Halabja una volta l’anno, il 16 marzo. Chiedevano che, in questa martoriata città, si avviassero gli investimenti economici, da anni promessi e non mantenuti. Per dare visibilità alla manifestazione, avevano deciso che il corteo avrebbe raggiunto il Mausoleo.
C’erano 2/3 mila persone. Manifestanti con il viso coperto hanno attaccato, con le armi, i soldati. Distrutto e incendiato il Mausoleo. Dopo oltre un’ora di battaglia le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo della situazione.
Nel frattempo, sulla strada che da Sulaymanya va a Halabja, abbiamo visto transitare due camion. A bordo, le teste di cuoio curde. I kalashnikov in braccio, i passamontagna neri calati sul viso.
Alla fine, 1 morto e 17 feriti. Un bilancio pesante davvero.
La posizione ufficiale del Governo è che fin dal giorno precedente, nella zona erano state notate persone non del luogo. Era stato fermato un curdo proveniente dal vicino Iran che doveva compiere un attentato. Fino al 2003, qui operavano i Ginud (Soldati) Al Islam, poi divenuti Ansar Al Islam, vicini ai fondamentalisti religiosi. Il confine iraniano, a 15 chilometri, corre lungo le montagne Shinerwe, a marzo ancora innevate, che facilitano infiltrazioni.
La commemorazione prevista è stata possibile effettuarla due giorni dopo. Il Consiglio Comunale insieme ai rappresentanti dei familiari delle vittime. I volti di pietra tradiscono una vita dura. Tanti lutti alle spalle. E davanti, un futuro difficile. Prende la parola anche Najmadin Muhamad Amin, geologo. E’ il Presidente del Consiglio Comunale. Le sue parole, di grande sobrietà, ci ricordano, ancora una volta, il dramma quotidiano di questa città.
Poi la cerimonia al cimitero. Il cimitero delle vittime dei bombardamenti chimici. Tante, tantissime lapidi. Allineate, una accanto all’altra, tutte uguali. Una per ogni famiglia, con i nomi delle persone scomparse. Cimitero senza morti. Perché i morti furono raccolti in fosse comuni, lì accanto. Una Spoon River mai cantata da nessun Edgar Lee Masters. La deposizione di una corona di fiori di carta, in una terra che non ha fiori.
Incontro Arass, dell’Halabja Chemical Victims Society. Una trentina d’anni, alto, il corpo incredibilmente magro. Il naso grande sopra un bel paio di baffi sul viso allungato. Mi stringe forte la mano. Mi guarda negli occhi. Il suo è uno sguardo infinitamente addolorato. Interrogativo. Vuol sapere se non dimenticheremo. Improvvisamente lo vedo abbassare gli occhi. Abbandonarsi al ricordo delle persone care scomparse nell’eccidio. Nessuna famiglia ne è immune. Un novello inviato di Erode, quel giorno, entrò in tutte le case di Halabja.

E se la strage di Halabja una sua sinistra notorietà, a livello internazionale, l’ha raggiunta, cosa dire del silenzio a lungo calato sulle stragi di Balessan e Shek Wassan.
Per 72 ore gli aerei bombardarono con armi chimiche questi villaggi e successivamente le montagne, verso il confine vicino, dove era stato previsto, come infatti accadde, che i fuggiaschi avrebbero cercato rifugio. I feriti che cercavano di raggiungere gli ospedali, catturati, vennero sepolti vivi.
E mentre i responsabili del villaggio ci raccontano tutto questo, i bambini accorrono dai vicoli, attratti dai palloncini colorati che abbiamo portato e che Fulgida, Lara e Luciano stanno gonfiando a tempo di record.

Erbil è la capitale. Con oltre 5.000 anni di storia è considerata la città più antica del mondo. E’ qui che si è sviluppata la civiltà dei sumeri.
Il Kurdistan, ottenuta l’autonomia politica, si suddivide in tre Province. Le principali, a nord la provincia di Erbil, a maggioranza PDK. A sud quella di Sulaymanya, governata dal PUK. I governanti locali, che potrebbero corrispondere ai nostri assessori regionali, sono chiamati ministri.
Il Parlamento è di 105 deputati. Vi sono rappresentate anche minoranze etniche e religiose, tra le quali quella cristiana copta. In Parlamento le quote rosa raggiungono percentuali elevate.
Fin dal giorno del nostro arrivo abbiamo avuto l’opportunità di incontri con le autorità centrali e locali.

Abbiamo incontrato una decina di sindaci di città e villaggi della Provincia di Sulaymanya.
I sindaci, per quel che abbiamo compreso, svolgono un ruolo da noi rappresentato, in parte, dai prefetti. Infatti hanno anche compiti di ordine pubblico, in una quotidianità sempre a rischio di attentati.
Realtà sociali spesso molto diverse tra loro, con profonde disuguaglianze, che aumentano a dismisura appena usciamo dalle sterminate metropoli di 800/900 mila abitanti, tipiche del Medio Oriente, come Erbil e Sulaymanya, e ci si addentra tra le montagne brulle, verso il confine con l’Iran, dove si vive di pastorizia e dove le abitazioni sono casupole di pietra con i tetti di fango.
Gli incontri avvengono nelle sedi dove i sindaci svolgono la loro attività istituzionale. Palazzine a un piano. Stanze spesso disadorne. L’indispensabile dei tempi di guerra. Sui tavolini, sempre il cesto della frutta. Ti offrono il caffè nero speziato, in minuscole tazze colorate. E il tè bollente, nei tipici bicchieri mediorientali di provenienza turca. In un angolo, la televisione. Sempre accesa, sottofondo costante dei nostri incontri istituzionali. Fuori, polvere e soldati armati, raccolti a gruppi, o seduti per terra, a chiacchierare. O acciambellati sopra le camionette scoperte, a fumare. In attesa di un nemico. Moderna Fortezza Bastiani. Ma qui, i soldati non aspettano l’arrivo dei misteriosi nemici dal nord del deserto dei Tartari. Qui il pericolo può nascondersi ovunque.

Abbiamo visitato l’ospedale di Emergency di Sulaymanya, attivo dal 1998, dove si curano le vittime delle mine. Quasi dieci milioni sparse sulle montagne. Di fabbricazione in gran parte italiana. Il periodo di degenza è di sei mesi. L’ospedale non ha soltanto lo scopo di preparare le protesi per sostituire gli arti mancanti, insegnando ai pazienti ad utilizzarle. Svolge anche un ruolo fondamentale aiutando il reinserimento sociale di queste persone. Qui i ricoverati imparano un mestiere. D’altro canto, in buona parte erano pastori, perché è sulle montagne che sono seppellite le mine. I corsi per gli uomini sono per falegname, fabbro, calzolaio. Quelli per le donne sono di cucito.
Sempre a Sulaymanya siamo stati alla Facoltà di Medicina. L’incontro con il Dr. Nazar Mohammad Amin. Intorno, gli studenti. Ci vogliono ricordare quando scoppiò la guerra, e la popolazione si rifugiò sulle vicine montagne. Gli studenti, con il loro insegnante, indossarono il camice bianco per curare i feriti ed insieme imbracciarono il kalashnikov per difendere l’Università dalle scorrerie dei fondamentalisti religiosi. Qui vengono curati i bambini che ancora oggi, figli di chi subì i bombardamenti chimici, nascono con gravi malformazioni.

L’incontro più importante, con Mrs. Hero Ahmed Talabani moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani. Mrs. Talabani, un donna minuta, gli occhi vividi, i capelli corvini che scendono appena sulle spalle. Ex partigiana, presiede l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Si occupa dell’infanzia abbandonata. Sono più di 2800 le adozioni a distanza già realizzate.
Con Mrs. Talabani abbiamo parlato delle conseguenze delle stragi con le armi chimiche compiute 18 anni fa. Dovranno trascorrere 3 o 400 anni prima che il terreno e le acque non siano più contaminati. Il problema è che non si conosce ancora la composizione esatta di queste armi. Gli agenti chimici usati erano una miscela di iprite e di gas asfissianti nervini, tra i quali sarin, tabun e VX. I sopravvissuti, di quel giorno, ricordano soltanto l’odore dolciastro nell’aria. Gli unici, in Occidente, che hanno studiato l’argomento, sono gli specialisti dell’Università di Liverpool. L’appello che Mrs. Talabani ci ha rivolto, è di comunicare al mondo questa tragedia. Di non lasciarli soli. C’è la necessità di avviare una ricerca sulle conseguenze di contaminazioni chimiche di seconda generazione.

Andrea Misuri ha partecipato alla missione di pace nel Kurdistan iracheno ed è stato latore del messaggio che il Sindaco di Firenze e vicepresidente della Campagna “Mayors for Peace”, Leonardo Domenici, ha inviato al Sindaco di Halabja.

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Emozioni e momenti di vita

21 aprile 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

EMOZIONI E MOMENTI DI VITA

E’ un sorriso contagioso, quello dei curdi. Ti sorridono spesso, i giovani. C’è voglia di comunicare. Non si negano mai ad una foto. Anzi, cercano insistentemente il nostro obiettivo. Italian, e subito i nomi dei nostri calciatori. Veicolo di comunicazione immediato. Roberto Baggio vince la particolare classifica degli azzurri più famosi, seguito da Del Piero, Buffon e Totti. E’ finita 2 – 2 una partita di calcio improvvisata. Nella difesa italiana giocavano, e bene, anche le nostre Fulgida e Gulala. Poi la foto di rito delle due squadre, a fermare il ricordo. E la promessa di tifare Italia ai Mondiali di giugno in Germania.

Il 21 marzo si festeggia il Newroz, il capodanno curdo. Quest’anno si entra nel 2707. Questo giorno i curdi vanno in campagna per il pic-nic. Con auto, camion, bus stracarichi. E poi moto e furgoni di ogni età e colore, ma quasi sempre, inevitabilmente scassati. E sotto le targhe curde, di colore nero, si intravedono ancora, a volte, le originali targhe gialle, tedesche o danesi. A testimonianza dei misteriosi percorsi che portano questi mezzi di locomozione a finire i loro giorni in un Medio Oriente affamato di progresso. Sono decine di migliaia, le auto che incrociamo. Su un’unica strada che, uscendo da Erbil, costeggia prati spelacchiati a perdita d’occhio, intasata fino all’orizzonte dalla lunga fila di auto. Chi è al volante scarta, ora a destra, ora a sinistra. Esce da quella linea, spesso immaginaria e soggettiva, che delimita il ciglio della strada. Sul bordo della carreggiata, nei prati, i giovani ballano in circolo. Una musica ossessiva, allegra e contagiosa, nel suo ripetersi all’infinito, al cui ritmo si lasciano andare. La musica esce a tutto volume dalle radio delle auto. Da quelle sulle tovaglie nei prati, dove si mangiano carne di montone secondo tradizione, riso con l’uvetta, yogurt e i grandi pani tondi e sottili. Dai baracchini improvvisati, dove, sotto il sole, si vendono lattine e semi salati. Alle due estremità dei gruppi che ballano, ci sono sempre da una parte un ragazzo con in mano un fazzoletto bianco, dall’altra uno con una piccola bandiera del Kurdistan. La bandiera ha gli stessi colori di quella italiana, con l’aggiunta, al centro, di un sole giallo che allunga i suoi raggi verso i bordi del vessillo. Bandiera simbolo della riconquistata libertà e forte veicolo di identità.
Siamo finiti anche noi in un gruppo di ragazzi che ballavano. Non potevamo rifiutare. L’invito era accompagnato da sorrisi complici. Eravamo testimoni della loro voglia di vivere.
Le donne portano il vestito della festa. Abiti sgargianti, di un solo colore, ma dalle mille sfumature, che si alternano e si confondono. I rossi dal carminio al porpora. I blu cobalto e di Prussia, gli ardesia e gli oltremare. I rosa, dal madreperla al magenta al corallo. I gialli variamente tinteggiati. E poi i verdi turchese e smeraldo. E i segni dorati che, inseguendosi in infinite geometrie, illuminano le stoffe.
I bambini piccoli accuditi dai fratelli appena maggiori. Gli uomini, seduti sulle sedie di plastica portate da casa, osservano placidamente la famiglia, orgogliosi dei loro figli, che ti indicano. E la foto che scattiamo, a loro con i figli intorno, perché te lo chiedono con quegli occhi che esprimono tutta la fierezza che ci vogliono comunicare.

Nei giorni di festa le famiglie vanno a passeggiare nei parchi cittadini, come il Parco Nazionale a Erbil. Grande, moderno. All’entrata, la lunga fila delle bandiere curde su alti pennoni. Al centro, tra i viali che si susseguono, allargandosi all’improvviso in spazi per i giochi dei bambini, un monumento in marmo nero a ricordo delle stragi.
Oppure le famiglie affollano i locali dove si cucinano i piatti tradizionali. Kabab, carne di montone da mangiare con pomodori e cipolle. Dolma, verdure ripiene di riso, carne macinata, salsa di pomodoro e spezie. Kefta, polpette di carne, cipolla, uvetta e noci. Ma ci sono anche i ristoranti con una cucina curda internazionalizzata, per una clientela che può spendere. Dove è possibile ordinare vino francese o birra tedesca. Come l’Eeifel o, ancor più, il Revan a Sulaymanya. Ristorante, quest’ultimo, dove si usa il tovagliolo di stoffa. Caso praticamente unico nel Kurdistan. E la stanza per i giochi dei bambini. Insomma, una nursery vera e propria. E questo sarebbe un caso quasi unico anche in Italia.

Dappertutto uomini armati. Il kalashnikov a tracolla. S’incontrano al bazar, agli angoli delle strade, con le divise militari e in borghese. Davanti agli edifici istituzionali e agli improvvisati check point che incominciano appena le strade escono dalle città.
L’Erbil International Hotel, dove scendono a dormire gli occidentali che arrivano nella capitale, è al centro di un parco circondato da un muro di cemento armato. Una tenda militare è la guardiola di giovanissimi militari che fanno passare le auto, dopo attenti controlli, azionando la leva che regola gli spunzoni appuntiti contro il pericolo di attentati. All’entrata, ancora un metal detector prima di perdersi nell’atmosfera ovattata, simile in tutti i grandi alberghi del mondo.
Eppure, dopo alcuni giorni che siamo in Kurdistan, anche noi non facciamo caso più di tanto agli uomini in armi che incontriamo per strada. E’ vero. La normalità è il desiderio più forte.

Alla partenza, all’aeroporto di Erbil, l’ultima attenzione nei nostri confronti. Ara, la figlia dodicenne del sindaco di Halabja, ha consegnato al sindaco di Marzabotto un vaso di fiori. Rose rosse. Di carta, ovviamente. Ora quelle rose sono a Marzabotto, nella sala del Consiglio Comunale.

Andrea Misuri ha partecipato alla missione di pace nel Kurdistan iracheno ed è stato latore del messaggio che il Sindaco di Firenze e vicepresidente della Campagna “Mayors for Peace”, Leonardo Domenici, ha inviato al Sindaco di Halabja.

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Missione dei “Mayors for Peace” nel Kurdistan: rassegna stampa

26 marzo 2006 Pubblicato da roberto

Link a vari articoli di testate online.

Buona lettura!

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Conclusa la missione di pace nel Kurdistan iracheno

25 marzo 2006 Pubblicato da roberto

Col rientro della delegazione dei Sindaci per la pace, venerdì 24 marzo a Forlì, si è conclusa la missione che ha tenuti impegnati per una decina di giorni i membri di IPB-Italia e i Sindaci e rappresentanti aderenti alla Campagna Mayors for Peace invitati dal sindaco di Halabija per le celebrazioni del 16 marzo, anniversario dei bombardamenti della cittadina curda ad opera di Saddam Hussein nel 1988.

E’ rientrata in Italia la delegazione dei Mayors for Peace italiani, 13 eroi che nel clima teso della situazione medioorientale di questi giorni hanno ugualmente voluto attivarsi in una missione di pace che ha dato importanti risultati concreti.
Siamo stati portatori di gesti che non si sono esauriti nella solidarieta’ verbale, ma che hanno gettato le basi per una collaborazione efficace tra le nostre e le loro municipalita’.
Abbiamo incontrato rappresentanti della societa’ curda e delle istituzioni ai massimi livelli.
Con la moglie del Presidente iracheno Talabani si sono definiti degli accordi per l’aiuto umanitario e di possibile cura delle vittime “di seconda generazione” della strage di Halabija, quelle che hanno subito i tremendi effetti genetici delle sostanze chimiche che nel 1988 hanno investito i propri genitori.
Con il Presidente del Parlamento curdo abbiamo stipulato un documento di intesa per un impegno delle nostre istituzioni nella messa al bando delle armi chimiche; sono gia’ in corso di svolgimento le procedure di appuntamento che porteranno al Quirinale i membri della delegazione e che consegneranno il documento nelle mani del Presidente della Repubblica Ciampi.
Abbiamo saputo dimostrare che al di la’ dei pregiudizi, delle difficolta’ linguistiche, delle differenti fedi, la convivenza pacifica tra i popoli rimane possibile.

Leggi i vari comunicati stampa per avere la cronologia degli avvenimenti:

Nota: Esplora i link della Rassegna stampa e una selezione tra tutte le immagini scattate.

Videoclip correlati (link creati a posteriori):

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La dichiarazione di impegno alla proibizione nell’uso delle armi di distruzione di massa

25 marzo 2006 Pubblicato da roberto

Questa è la traduzione della dichiarazione di impegno alla proibizione nell’uso delle armi chimiche, batteriologiche e nucleari, stipulata congiuntamente ai membri del Parlamento del Kurdistan e i Sindaci membri della Campagna Mayors for Peace che hanno partecipato alla missione di pace del 13-24 marzo 2006.

Al Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan
Al Presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi
Al Presidente della Repubblica irachena Ialal Talabani
Al Presidente del Kurdistan Massud Barzany
Al Presidente dell’International Peace Bureau Cora Weiss
Al Presidente della “Mayors for Peace” Akiba Tadatoshi
Al Vicepresidente della “Mayors for Peace” Leonardo Domenici
Ai Sindaci della Campagna mondiale “Mayors for Peace”

Oggi 14 marzo 2006 Mr. Adnan Mufti, Presidente del Parlamento Nazionale del Kurdistan, in nome del popolo curdo ha incontrato la Sig.ra Fulgida Barattoni Presidente dell’IPB-Italia e la delegazione di sindaci italiani della “Mayors for Peace” rappresentati da Edoardo Masetti Sindaco di Marzabotto, Andrea Misuri per conto del rappresentante del Sindaco di Firenze Susanna Agostini, Renzo Coceancig in rappresentanza del Sindaco di Cormons, Luciano Scambiato rappresentante del Sindaco del Comune di Mazzarino.
Mr. Adnan Mufti Presidente del Parlamento Nazionale del Kurdistan, il vicepresidente Dr. Hamal Kerkuky, Mr. Arez Abdullah, Mrs. Galawes Shaba, Mr. Kafur Makmury, Mr. Bapir Kamala, Mr. Karkhy Najmaddin, Mr. Hama Rashid, Mr Aram Rasul Mamand, assieme con questa delegazione italiana dichiarano di impegnarsi a lavorare insieme per la proibizione dell’uso delle armi di distruzione di massa che sono causa di crudeli massacri di civili così come è accaduto nella città di Halabja, Shekh Wasanan e Balesan e in molte altre parti del mondo.
La presente dichiarazione vuole fortemente ribadire che la pace proviene dal principio di autodeterminazione dei popoli garantita dalle Nazioni Unite e che la Società Civile è la naturale depositaria della sovranità così come dichiarato da tutte le Costituzioni democratiche.
La Società Civile in tutto il mondo è composta da madri, bambini, mariti, nonni e tutti vogliono la stessa cosa: “vedere i propri figli crescere, offrire alla futura generazione un futuro di pace senza paura”.

(Seguono le firme)

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