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“La fuga dei senza patria”, un nuovo servizio da Rainews24

12 luglio 2006 Pubblicato da roberto

Riportiamo la notizia di un nuovo servizio da RAINEWS24, sempre dall’Iraq ma qualcosa di insolito (o meglio: quanti media ne hanno finora parlato?).
Si tratta di una sorta di “pulizia etnica” che passa sotto silenzio - a meno che cronisti coraggiosi ne diffondano al mondo la sua esistenza.

Sì, perché l’uccisione mirata dei palestinesi continua in Iraq, anche dopo la caduta di Saddam Hussein…

Rainews24. L’inchiesta “La fuga dei senza patria”

In Iraq continua nel silenzio l’uccisione mirata dei palestinesi dopo la caduta di Saddam Hussein. Misteriose uccisioni messe in atto da squadroni della morte mai visti prima in Iraq. Uccisi solo perchè palestinesi.

Su Rainews24 l’inchiesta “La fuga dei senza patria” di Flaviano Masella a cura di Maurizio Torrealta, denuncia, attraverso numerose testimonianze l’ intollerabile situazione in cui si trovano le centinaia di persone che cercano di sfuggire ad un massacro simile alle grandi pulizie etniche del secolo scorso.

L’inchiesta andrà in onda giovedì 13 luglio alle ore 7.40 in chiaro anche su Raitre.

Le interviste sono state realizzate in Giordania nel campo profughi di Ruwayshed collocato in una zona desertica lungo la strada che collega Amman a Bagdad.

Il campo profughi, gestito dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ospita centinaia di palestinesi in una tendopoli dove d’estate la temperatura raggiunge i 50 gradi e d’inverno scende a zero.

Donne, uomini, bambini e anziani bloccati nel campo in un’attesa infinita di un ritorno alla vita normale.

L’inchiesta “La fuga dei senza patria” andrà in onda giovedì 13 luglio alle ore 7.40 e alle 13.12 - venerdì 14 alle ore 11.42 - sabato 15 alle ore 13.42 e 18.12 - domenica 16 alle ore 5.12 e 9.12 - lunedi 17 alle ore 23.12. Sarà inoltre visibile sul sito internet www.rainews24.it

Rainews 24. Report : “The displaced people take flight”

After the fall of Saddam Hussein, in Iraq the targeted killing of Palestinians covertly still goes on, carried on by previously unseen death squads. People are killed just because they are Palestinians.

The Rainews 24 report “The displaced people take flight”, by Flaviano Masella edited by Maurizio Torrealta reveals the unbearable situation of hundreds of people with many interviews. They are trying to run away from a massacre that looks like last century’s ethnic cleansings.

The report will be broadcast on Thursday July 13th at 7.40 a.m. on Rainews 24 and on Rai Tre.

The interviews were made in Jordan in Ruwayshed refugee camp, which is located in a desert along the way that connects Amman and Baghdad.

The camp is run by the UN High Commissioner for Refugees and hosts hundreds of Palestinians. They live in tents: in summer temperature can reach 50 degrees and in winter 0 degrees.

Women, men, children and old people got stuck in this camp waiting endlessly to go back to their normal life.

The report “The displaced people take flight” will be broadcast on Thursday July 13th at 7.40 a.m. and at 1.12 p.m., on Friday at 11.42 a.m., on Saturday 15th at 1.42 p.m. and at 6.12 p.m., on Sunday 16th at 5.12 a.m. and 9.12 a.m. and on Monday 17th at 11.12 p.m. It will be on our web site as well: www.rainews24.it

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La questione curda non è più affare di Iran e Turchia

29 maggio 2006 Pubblicato da roberto

Pubblichiamo volentieri un nuovo articolo da Shorsh Sourme, giornalista curdo attento alle questioni riguardanti il suo popolo, il suo ideale di indipendenza, le repressioni tuttora operanti nei territori curdi della Turchia e dell’Iran.
Una questione sempre più attuale, soprattutto alla luce dell’autonomia realizzata nella regione del Kurdistan iracheno, che sperimenta finalmente un periodo di ricostruzione civile e politica e che può diventare seme fertile per la stessa democraticizzazione dell’Iraq.
Ricordo che il “sogno del Kurdistan” dopo le vicissitudini storiche che hanno portato quel territorio alla sua frammentazione, non è utopia ma è garantito dal principio di autodeterminazione dei popoli, norma giuridica del diritto internazionale a cui i singoli Stati non si potrebbero opporre.

La questione curda non è più affare di Iran e Turchia

di Shorsh Surme

In Turchia la questione curda è tornata prepotentemente alla ribalta, con le massicce rivolte popolari sia a Diyarbakir - che in curdo viene chiamata Amed - la capitale del Kurdistan, sia nelle altre città del Kurdistan della Turchia. E come sempre la reazione dell’esercito turco è stata una violenta repressione nei confronti delle masse curde che hanno sempre protestato per i loro diritti pacificamente.

Il governo di Recep Tayyip Erdogan e le istituzioni militari che stanno dietro di esso fingono di non vedere l’enorme cambiamento che ha avuto luogo nella regione e che fra l’altro ha portato il Kurdistan iracheno, dopo interminabili sofferenze, a godere dei propri diritti all’interno di una unione di tipo federale con gli Arabi iracheni.

Nel progetto di un Iraq moderno e democratico, nel quale ha investito l’intera comunità internazionale (con in testa gli Stati Uniti e la Gran Bretagna), i Curdi devono giocare un ruolo fondamentale, tanto più che è ben noto che la Turchia non è fra coloro che hanno scommesso su questo progetto, ed anzi è fra i suoi più accaniti oppositori.

La Turchia dovrebbe rinunciare a questo suo atteggiamento autoritario e repressivo nei confronti della popolazione curda, che potrebbe creare nuove tragedie. I Paesi come la Turchia e l’Iran devono sapere che la questione curda ha cessato di essere un affare interno dei Paesi dove vivono i Curdi.

La questione curda riguarda un popolo di più di 40 milioni di persone che vive su una terra storica che si estende per più di 500.000 km quadrati. Al terzo millennio, in base a quale logica questi Paesi continua a negare il diritto di un popolo come quello curdo così radicata nella storia e nella geografia della regione? Fino a quando si chiameranno tra di loro per mettersi d’accordo contro i Curdi?

Infatti, l’ultimo appello e’ stato lanciato dall’ambasciatore iraniano ad Ankara, Firuz Devletabadi, a Turchia e Siria affinché cooperino, insieme all’Iran, al fine di impedire la nascita di uno Stato curdo nella regione. Si tratta di un appello assolutamente miope che rivela una mentalità ristretta, che non comprende che i Curdi ormai non sono più le vittime predestinate delle politiche di questi Paesi.

I Curdi, soprattutto attraverso l’esperienza irachena, hanno dimostrato di essere invece un elemento di rinnovamento e di stabilità, ed essi sono i primi ad essere interessati alla democratizzazione della regione.

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La visita in Italia di Adnan Al Mufti

22 maggio 2006 Pubblicato da roberto

Si è conclusa la visita in Italia di Adnan Al Mufti, presidente del Parlamento regionale del Kurdistan iracheno; tra i momenti significativi svolti a Firenze è da segnalare l’incontro di venerdì 19 maggio, a Palazzo Vecchio, col Sindaco di Firenze e vicepresidente della “Mayors for Peace” Leonardo Domenici.

Il presidente ha inoltre partecipato alla puntata di giovedì 18 maggio della trasmissione televisiva di approfondimento culturale “Tempi dispari” di Rainews24, incentrata sul “sogno del Kurdistan” e sulla situazione attuale della regione.

Riportiamo il link dell’estratto video della trasmissione, visualizzabile online nel sito di Rainews24 (www.rainews24.rai.it):
http://www.rainews24.it/ran24/magazine/tempi-dispari/video/TD_18052006.wmv

Segnaliamo inoltre un articolo (a firma Daniele Angelini e tratto in parte da comunicato stampa del Comune) apparso nel sito informativo “Nove da Firenze” e leggibile all’indirizzo:
http://www.nove.firenze.it/vediarticolo.asp?id=a6.05.19.15.42

La popolazione curda che vive nel nord dell’Iraq sta vivendo finalmente un periodo di relativa pace dove sia il progresso materiale, sia quello istituzionale, sembrano trovare un cammino in positivo. Possiamo definire il lavoro di rappresentanza parlamentare e dell’esecutivo della regione, come “esperimenti di democrazia” pressocché unici nella situazione controversa della regione medioorientale, e pertanto da seguire con interesse.

Qui è possibile vedere le immagini.

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Le istituzioni fiorentine e il Kurdistan iracheno

4 maggio 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

Le Istituzioni fiorentine da lunga data sono dalla parte di coloro che si battono per i propri diritti.
Ne è testimonianza questo comunicato stampa (clicca su “Leggi tutto”) per la visita, in Palazzo Vecchio, della scrittrice Laura Schrader, in occasione del Newroz, il Capodanno curdo.
I rappresentanti della Commissione Pace del Comune di Firenze, il 25 marzo di sei anni fa, esprimevano la denuncia della violazione dei diritti umani nel Kurdistan Iracheno e lanciavano la proposta di una campagna di adozione a distanza dei bambini orfani.

La delegazione dell’Ufficio italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è rientrata da poco da una visita in quel martoriato Paese. Facevo parte della delegazione ed ero anche latore di un messaggio di Leonardo Domenici sindaco di Firenze e vice-presidente della MfP per il sindaco di Halabja.

Abbiamo visto le sofferenze causate dai tanti lutti. Abbiamo imparato a conoscere il desiderio di autonomia dei curdi. Il loro orgoglio. La volontà di costruire un Paese che cerca la pace.
L’incontro con Mrs. Hero Talabani, moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani, ci ha permesso di affrontare un tasto particolarmente doloroso. La First Lady presiede, infatti, l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Da allora, sono più di 2800 le adozioni a distanza realizzate.
Un filo conduttore invisibile, eppure concreto, collega e mette in rete Firenze con realtà come quella del Kurdistan Iracheno. Perché, in qualche modo, mi fa piacere pensare che non può essere un caso se la delegazione italiana ha gettato concretamente il seme, per il Newroz del 2006, di quei progetti, di quelle idee delle quali avevano parlato i rappresentanti delle Istituzioni fiorentine nella primavera del 2000.


COMUNICATO STAMPA

Firenze, 25 Marzo 2000

PALAZZO VECCHIO IN AIUTO DEL KURDISTAN

Ogni sopruso commesso nel Kurdistan non rimarrà sotto silenzio ma da Firenze verrà denunciato con forza a tutte le istituzioni politiche mondiali. La promessa di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia che ogni giorno vive il popolo kurdo è stata fatta ieri sera dal Presidente della commissione consiliare Pace e solidarietà internazionale Lorenzo Marzullo durante l’incontro-dibattito, in Palazzo Vecchio, con la scrittrice e giornalista Laura Schrader. Marzullo ha sottolineato che la commissione Pace, da Firenze, «controllerà e denuncerà ogni violazione dei diritti umani nel Kurdistan». Anche il Presidente del Consiglio comunale ha sottolineato come il popolo kurdo «viva in condizioni tragiche e disperate e nella generale disattenzione» ed ha auspicato che «il Kurdistan possa diventare uno stato autonomo e sovrano capace di decidere autonomamente del proprio destino».
Dal canto suo la consigliera Susanna Agostini ha lanciato la proposta di una campagna di adozioni a distanza dei bambini orfani del Kurdistan iracheno, in particolar modo di quelli che ancora abitano nelle città distrutte dai soldati di Saddam Hussein.
Secondo il consigliere Rodolfo Cigliana «va sottolineato il duplice intento della commissione Pace». «Anzitutto - ha detto Cigliana - quello di sollecitare una nuova maggiore attenzione della comunità internazionale tramite la città di Firenze per il “problema kurdo”, nel nome del rispetto dei diritti delle minoranze». «Poi - ha proseguito Cigliana - quello di sollecitare nuove forme di solidarietà con un intervento internazionale a favore del popolo kurdo ancora oggi costretto alla diaspora e un intervento locale a favore dei profughi presenti nella nostra città attraverso una più ampia conoscenza delle radici storiche e delle tradizioni culturali». (fn)

Nota: Pubblicato anche su http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_16141.html

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Appunti da un viaggio in Kurdistan

21 aprile 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

APPUNTI DA UN VIAGGIO IN KURDISTAN

Una delegazione dell’Ufficio Italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è stata nel Kurdistan Iracheno, ospite del sindaco di Halabja, Khidr Karem Aktar.
Vivere dieci giorni in un Paese che conosciamo esclusivamente attraverso le immagini dei telegiornali. Il popolo curdo è attualmente diviso tra Irak, Iran,Turchia e Siria. Forte il desiderio di autodeterminazione. Il sogno, un giorno essere un solo Paese. Proviamo, allora, a dipanare il filo di Arianna delle nostre emozioni.
La delegazione aveva ricevuto l’invito a partecipare, il 16 marzo, alla commemorazione del bombardamento con armi chimiche del 1988 durante il quale, a Halabja, morirono oltre 5.000 civili e ci furono più di 10.000 feriti, su una popolazione di 70.000 abitanti.

Abbiamo visitato anche alcuni di quei 5000 villaggi bombardati tra il 1987 e il 1988. E’ l’Anfal. 182000 le vittime. Desaparecidos. Tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni.
Il sindaco di Halabja , Khidr Karem Aktar, 46 anni, personalità forte, i folti baffi che scendono appena sui lati della bocca, al centro di un viso aperto e volitivo. Abiti impeccabili. Il sorriso accattivante. Per noi tutti, riferimento istituzionale costante, in questo viaggio attraverso una terra bellissima e sconosciuta.
Il 15 marzo a Halabja abbiamo visitato la scuola costruita, nel 1998, con i soldi raccolti dagli abitanti di Marzabotto, che avevano versato un’ora di salario. La scuola, per 500 bambini delle primarie, fino ai 12 anni, è composta da una decina di classi. Porta il nome di Marzabotto, così come la via e il quartiere. C è una radicata riconoscenza, a Halabja, verso la città che ha permesso di costruire la scuola. Avevamo con noi zainetti per tutti i bambini.
La visita è proseguita al Mausoleo che ricorda le vittime della strage. Per tutto il Kurdistan, un simbolo della libertà conquistata.
La mattina dopo stavamo per arrivare a Halabja, quando ci ha fermato una telefonata del sindaco. Non potevamo entrare in città.
Era prevista una manifestazione di studenti. Protestavano, accusando il Governo di ricordarsi di Halabja una volta l’anno, il 16 marzo. Chiedevano che, in questa martoriata città, si avviassero gli investimenti economici, da anni promessi e non mantenuti. Per dare visibilità alla manifestazione, avevano deciso che il corteo avrebbe raggiunto il Mausoleo.
C’erano 2/3 mila persone. Manifestanti con il viso coperto hanno attaccato, con le armi, i soldati. Distrutto e incendiato il Mausoleo. Dopo oltre un’ora di battaglia le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo della situazione.
Nel frattempo, sulla strada che da Sulaymanya va a Halabja, abbiamo visto transitare due camion. A bordo, le teste di cuoio curde. I kalashnikov in braccio, i passamontagna neri calati sul viso.
Alla fine, 1 morto e 17 feriti. Un bilancio pesante davvero.
La posizione ufficiale del Governo è che fin dal giorno precedente, nella zona erano state notate persone non del luogo. Era stato fermato un curdo proveniente dal vicino Iran che doveva compiere un attentato. Fino al 2003, qui operavano i Ginud (Soldati) Al Islam, poi divenuti Ansar Al Islam, vicini ai fondamentalisti religiosi. Il confine iraniano, a 15 chilometri, corre lungo le montagne Shinerwe, a marzo ancora innevate, che facilitano infiltrazioni.
La commemorazione prevista è stata possibile effettuarla due giorni dopo. Il Consiglio Comunale insieme ai rappresentanti dei familiari delle vittime. I volti di pietra tradiscono una vita dura. Tanti lutti alle spalle. E davanti, un futuro difficile. Prende la parola anche Najmadin Muhamad Amin, geologo. E’ il Presidente del Consiglio Comunale. Le sue parole, di grande sobrietà, ci ricordano, ancora una volta, il dramma quotidiano di questa città.
Poi la cerimonia al cimitero. Il cimitero delle vittime dei bombardamenti chimici. Tante, tantissime lapidi. Allineate, una accanto all’altra, tutte uguali. Una per ogni famiglia, con i nomi delle persone scomparse. Cimitero senza morti. Perché i morti furono raccolti in fosse comuni, lì accanto. Una Spoon River mai cantata da nessun Edgar Lee Masters. La deposizione di una corona di fiori di carta, in una terra che non ha fiori.
Incontro Arass, dell’Halabja Chemical Victims Society. Una trentina d’anni, alto, il corpo incredibilmente magro. Il naso grande sopra un bel paio di baffi sul viso allungato. Mi stringe forte la mano. Mi guarda negli occhi. Il suo è uno sguardo infinitamente addolorato. Interrogativo. Vuol sapere se non dimenticheremo. Improvvisamente lo vedo abbassare gli occhi. Abbandonarsi al ricordo delle persone care scomparse nell’eccidio. Nessuna famiglia ne è immune. Un novello inviato di Erode, quel giorno, entrò in tutte le case di Halabja.

E se la strage di Halabja una sua sinistra notorietà, a livello internazionale, l’ha raggiunta, cosa dire del silenzio a lungo calato sulle stragi di Balessan e Shek Wassan.
Per 72 ore gli aerei bombardarono con armi chimiche questi villaggi e successivamente le montagne, verso il confine vicino, dove era stato previsto, come infatti accadde, che i fuggiaschi avrebbero cercato rifugio. I feriti che cercavano di raggiungere gli ospedali, catturati, vennero sepolti vivi.
E mentre i responsabili del villaggio ci raccontano tutto questo, i bambini accorrono dai vicoli, attratti dai palloncini colorati che abbiamo portato e che Fulgida, Lara e Luciano stanno gonfiando a tempo di record.

Erbil è la capitale. Con oltre 5.000 anni di storia è considerata la città più antica del mondo. E’ qui che si è sviluppata la civiltà dei sumeri.
Il Kurdistan, ottenuta l’autonomia politica, si suddivide in tre Province. Le principali, a nord la provincia di Erbil, a maggioranza PDK. A sud quella di Sulaymanya, governata dal PUK. I governanti locali, che potrebbero corrispondere ai nostri assessori regionali, sono chiamati ministri.
Il Parlamento è di 105 deputati. Vi sono rappresentate anche minoranze etniche e religiose, tra le quali quella cristiana copta. In Parlamento le quote rosa raggiungono percentuali elevate.
Fin dal giorno del nostro arrivo abbiamo avuto l’opportunità di incontri con le autorità centrali e locali.

Abbiamo incontrato una decina di sindaci di città e villaggi della Provincia di Sulaymanya.
I sindaci, per quel che abbiamo compreso, svolgono un ruolo da noi rappresentato, in parte, dai prefetti. Infatti hanno anche compiti di ordine pubblico, in una quotidianità sempre a rischio di attentati.
Realtà sociali spesso molto diverse tra loro, con profonde disuguaglianze, che aumentano a dismisura appena usciamo dalle sterminate metropoli di 800/900 mila abitanti, tipiche del Medio Oriente, come Erbil e Sulaymanya, e ci si addentra tra le montagne brulle, verso il confine con l’Iran, dove si vive di pastorizia e dove le abitazioni sono casupole di pietra con i tetti di fango.
Gli incontri avvengono nelle sedi dove i sindaci svolgono la loro attività istituzionale. Palazzine a un piano. Stanze spesso disadorne. L’indispensabile dei tempi di guerra. Sui tavolini, sempre il cesto della frutta. Ti offrono il caffè nero speziato, in minuscole tazze colorate. E il tè bollente, nei tipici bicchieri mediorientali di provenienza turca. In un angolo, la televisione. Sempre accesa, sottofondo costante dei nostri incontri istituzionali. Fuori, polvere e soldati armati, raccolti a gruppi, o seduti per terra, a chiacchierare. O acciambellati sopra le camionette scoperte, a fumare. In attesa di un nemico. Moderna Fortezza Bastiani. Ma qui, i soldati non aspettano l’arrivo dei misteriosi nemici dal nord del deserto dei Tartari. Qui il pericolo può nascondersi ovunque.

Abbiamo visitato l’ospedale di Emergency di Sulaymanya, attivo dal 1998, dove si curano le vittime delle mine. Quasi dieci milioni sparse sulle montagne. Di fabbricazione in gran parte italiana. Il periodo di degenza è di sei mesi. L’ospedale non ha soltanto lo scopo di preparare le protesi per sostituire gli arti mancanti, insegnando ai pazienti ad utilizzarle. Svolge anche un ruolo fondamentale aiutando il reinserimento sociale di queste persone. Qui i ricoverati imparano un mestiere. D’altro canto, in buona parte erano pastori, perché è sulle montagne che sono seppellite le mine. I corsi per gli uomini sono per falegname, fabbro, calzolaio. Quelli per le donne sono di cucito.
Sempre a Sulaymanya siamo stati alla Facoltà di Medicina. L’incontro con il Dr. Nazar Mohammad Amin. Intorno, gli studenti. Ci vogliono ricordare quando scoppiò la guerra, e la popolazione si rifugiò sulle vicine montagne. Gli studenti, con il loro insegnante, indossarono il camice bianco per curare i feriti ed insieme imbracciarono il kalashnikov per difendere l’Università dalle scorrerie dei fondamentalisti religiosi. Qui vengono curati i bambini che ancora oggi, figli di chi subì i bombardamenti chimici, nascono con gravi malformazioni.

L’incontro più importante, con Mrs. Hero Ahmed Talabani moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani. Mrs. Talabani, un donna minuta, gli occhi vividi, i capelli corvini che scendono appena sulle spalle. Ex partigiana, presiede l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Si occupa dell’infanzia abbandonata. Sono più di 2800 le adozioni a distanza già realizzate.
Con Mrs. Talabani abbiamo parlato delle conseguenze delle stragi con le armi chimiche compiute 18 anni fa. Dovranno trascorrere 3 o 400 anni prima che il terreno e le acque non siano più contaminati. Il problema è che non si conosce ancora la composizione esatta di queste armi. Gli agenti chimici usati erano una miscela di iprite e di gas asfissianti nervini, tra i quali sarin, tabun e VX. I sopravvissuti, di quel giorno, ricordano soltanto l’odore dolciastro nell’aria. Gli unici, in Occidente, che hanno studiato l’argomento, sono gli specialisti dell’Università di Liverpool. L’appello che Mrs. Talabani ci ha rivolto, è di comunicare al mondo questa tragedia. Di non lasciarli soli. C’è la necessità di avviare una ricerca sulle conseguenze di contaminazioni chimiche di seconda generazione.

Andrea Misuri ha partecipato alla missione di pace nel Kurdistan iracheno ed è stato latore del messaggio che il Sindaco di Firenze e vicepresidente della Campagna “Mayors for Peace”, Leonardo Domenici, ha inviato al Sindaco di Halabja.

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