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I quattrocentonovantanove zainetti di Halabja

20 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Questo è l’ultimo della serie di reportages scritti a Andrea Misuri, nostro socio e “compagno di viaggio” nella missione di pace nel Kurdistan iracheno.
E’ un sunto dei ricordi e degli incontri che a distanza di mesi si affaccia ancora nella mente di noi “reduci”; il tutto nel suo stile vivace e discorsivo.

L’arrivo
L’aeroporto di Erbil appare attraverso l’oblò. Le ombre della notte lasciano il posto ai barlumi del nuovo giorno. Sotto di noi, la lunga striscia di cemento. Intervallata dalle luci, che nelle nebbie sottilissime del primo mattino indicano il percorso al pilota. Identica alle piste degli aeroporti di tutto il mondo.
L’orologio segna ancora l’ora di Roma, le 3,30. Eravamo partiti da Francoforte. Aeroporto immenso e labirintico, deserto per l’ora notturna. Lo avevamo percorso a passo sempre più svelto, trascinandoci il bagaglio sulle valigie a rotelle. Eravamo entrati direttamente nella pancia dell’aereo della Kurdistan Airlines.
Quattro ore dopo, le ruote dell’aereo toccano terra. La maggior parte dei passeggeri sono curdi che tornano a casa. Molte le coppie con i piccoli. Le donne indossano vestiti eleganti, dai colori accesi. Gli uomini vestono all’occidentale. Solo qualcuno ha già l’abito della tradizione. Ampi pantaloni e casacche strette in vita da una lunga fascia di cotone, indossati con eleganza e naturalezza insieme.
Mi affaccio alla scaletta e sento prendermi da un’euforia controllata. Mi ricordo di quando, molto tempo fa, a vent’anni o poco più, ho girato tanti Paesi. Ben sapendo, da allora, che il vero viaggio è sempre quello dentro di noi. Alla ricerca delle nostre parti insondabili, a noi stessi sconosciute.
Certo che avrei nuovamente vissuto sensazioni forti.
Scendo gli scalini e m’avvio con i compagni di viaggio verso la palazzina ad un piano che vediamo davanti a noi. Sormontata dalla scritta Erbil International Airport.
Si forma una lunga coda. Problemi sui visti. I doganieri svolgono il loro lavoro con grande attenzione. Oltre al bagaglio personale, ingombriamo la piccola sala dell’aeroporto con le sedici grandi scatole contenenti gli zainetti par i bambini della scuola Marzabotto di Halabja. Alfine si esce. Il sole già sull’orizzonte. Intorno la pianura brulla, interrotta, qua e là, da costruzioni basse, puntini lontani disposti casualmente a riempire lo spazio.

Buona lettura!

Il primo automezzo che vediamo ha, incredibilmente, la targa di Firenze. Un vecchio Ford Transit bianco.
Piero, simpatico e dai modi diretti, è il conducente. Dopo la presentazione cominciamo a parlare. Come vecchi amici che si ritrovano nel loro peregrinare. Con lui, Omar, un curdo che ha studiato a Bologna, dal perfetto accento italiano, si rivelerà utile guida per conoscere il Kurdistan.
Piero è di Porretta Terme. Paese, un tempo, di dura terra lavorata e d’emigrazione. Era partito da lì quattro giorni prima. Sarebbero rimasti con noi alcuni giorni, prima di scendere a sud, cercando di raggiungere Baghdad.
Incontriamo i referenti istituzionali. Tra loro, il sindaco di Halabja Khadir Kareem Mohammed.
Presto sarà a Firenze, invitato dal sindaco Leonardo Domenici vice presidente della Mayor for Peace. Khadir, il primo sindaco iracheno ad iscriversi alla Mayor for Peace. Sindaci che hanno a cuore il futuro delle comunità che rappresentano.
Prendiamo posto sul pulmino, un vecchio Mercedes, che ci accompagnerà, sbuffante e ansimante, per le strade del Kurdistan.

I primi incontri
Il primo appuntamento istituzionale è alla sede del Parlamento.
Un lungo muro di cinta. All’entrata, blocchi di cemento obbligano l’autista a zigzagare prima di fermarsi alla garitta. Giovani in armi, i kalashnikov a tracolla, autorizzano il passaggio. Entriamo nel Palazzo. Al centro dell’ampio salone l’enorme ritratto di Mustafà Barzani, fra le bandiere del Kurdistan. Al centro il sole che irradia i suoi raggi, a sovrapporsi ai colori bianco rosso e verde disposti orizzontalmente. Ai lati due guardie in alta uniforme.
Dietro, due scaloni semicircolari si congiungono in alto.
Da lì si entra nello studio di Adnan Al-Mufti Presidente del Parlamento. Poco più che cinquantenne, uomo che suscita rispetto e ispira simpatia.
Saprò poi che ha passato la maggior parte della vita nella lotta partigiana. E’ a persone come quella che ho di fronte, che ha pensato Sherko Bekas, il maggior poeta vivente curdo, quando scrive

”La lotta, da noi, Laura, inizia dalla culla
e va fino alla tomba. E’ avvinghiata al nostro corpo, Laura.
Pane e dolore mangiamo tutti i giorni, insieme alla nostra lotta, Laura.
Dormiamo più tempo con la lotta,
che con le nostre donne, Laura,
viviamo più tempo con la lotta che con i nostri figli, Laura.
Ma, Laura, Laura, il mio Kurdistan,
il mio Kurdistan
tu non dimenticare il Kurdistan.”

L’autore ha trascorso molti anni in esilio. Ora vive a Sulaymanya.

Durante l’incontro con Al-Mufti, parlo delle motivazioni che ci hanno spinto a venire fin qui. Di Firenze città portatrice di pace, da sempre aperta ai viaggiatori di ogni Paese. E’ con emozione che appunto sulla giacca del Presidente il giglio d’argento. Nessuno di noi poteva sapere, in quel momento, che due mesi dopo lui stesso sarebbe stato ricevuto dal Sindaco in Palazzo Vecchio, nella sala di Lorenzo. Così chiamata perché lì, Lorenzo il Magnifico riceveva gli ambasciatori che a Firenze venivano dalle terre più lontane.
Quando lasciamo la sede del Parlamento, prendiamo la strada che scende a sud. Dobbiamo raggiungere Sulaymanya. Il nostro minibus è preceduto dal camioncino con i 500 zainetti. Davanti fa da apripista la Toyota con il sindaco di Halabja.
Usciti dalla città, le case diradano. Ogni tanto attraversiamo qualche villaggio. Case fatte di sassi e fango. Lamiere per tetti. E poi le antenne satellitari che sempre ritroveremo anche nei luoghi più sperduti, a volte unico segno di riconoscimento del secolo nel quale viviamo. Poi anche i villaggi scompaiono. Attraversiamo una valle, al centro un torrente che i mezzi guadano. All’intorno un pugno di case, una minuscola moschea con i muri verde pastello. I bambini a giocare sulla strada polverosa, alzano gli occhi stupiti e curiosi al nostro passaggio. Per lungo tempo non ci sono più segni di vita. Le auto s’inerpicano su strade tortuose. Incontriamo un pastore con il suo gregge di pecore. E’ un ragazzo giovanissimo, poco più di un bambino. Delle baracche sono abbarbicate su un tornante. Il sindaco vuole offrirci della frutta. Compra banane e arance per noi. Semi di zucca per l’autista, dei quali gran mangiatore, li sgranocchierà per il resto del viaggio. Arrivati in cima al passo, il corteo affronta le curve della pista che velocemente degradano verso la pianura sottostante. La strada che percorriamo resta l’unico segno della presenza dell’uomo. Montagne brulle intorno. Sotto, la valle fatta di distese di prati spelacchiati.
C’inerpichiamo nuovamente, ora in modo più deciso. Arriviamo a Balessan, uno dei primi villaggi travolti dalla campagna dell’Anfal.
L’intera popolazione ci accoglie sui due lati della strada che raggiunge il punto più alto del paese aprendosi in un piccolo spazio. Qui avviene la breve cerimonia di saluto e la visita del luogo che raccoglie la memoria dell’eccidio. Togliendoci le scarpe, seguiamo i rappresentanti locali nel mausoleo. Una stanza dove, appese alle pareti, si susseguono le fotografie dei morti. Tanti i bambini.
Quando usciamo, siamo circondati da ragazzini, usciti a frotte dalle case. Per loro, l’occasione per trascorrere un attimo diverso dalla routine. Sono belli e dolcissimi, con dei grandi sorrisi che illuminano volti dai lineamenti incredibilmente delicati.
Fulgida tira fuori la valigia che per tutto il viaggio si era tenuta vicino. Escono così piccoli oggetti utili a comunicare. Sono palloncini colorati che Fulgida, Lara e Luciano gonfiano. Sempre più rapidamente, ma non è sufficiente. Nugoli di bambini arrivano, attratti dall’evento inatteso. Dalla valigia, come quella di Mary Poppins, per magia continuano ad uscire i palloncini.

Arriviamo a Sulaymanya che comincia l’imbrunire.
L’hotel Babylon è un palazzo su due piani. Nella hall, davanti al bancone della reception, un abete finto, illuminato delle luci natalizie. La sua funzione è puramente decorativa e dura tutto l’anno.
All’ultimo piano c’è la sala ristorante.
Quando vi arriviamo, depositate le valigie nelle camere, accogliamo con gioia, data l’ora tarda, gli hamburger e le patate fritte che i gentilissimi camerieri ci propongono.
Fra noi italiani, chi conosce meglio la cucina mediorientale è indubbiamente Filippo.
Nell’aspetto, Filippo è il viaggiatore doc. Capelli arruffati, lunghi sulle larghe spalle. La barba, scomposta e folta a incorniciare il sorriso scanzonato. Al collo, immancabili, macchina fotografica e cinepresa.
Ci dà qualche breve consiglio che si rivelerà utile per meglio capire i piatti tradizionali.

Note
Sulaymanya ha più di duecento anni. Sul finire del XVIII secolo diventò la capitale del Principato di Baban. Prendendo il posto della città di Kalacholan.
Jalal Talabani, attualmente Presidente della Repubblica dell’Iraq, è di questa regione. Una vita passata combattendo. Partigiano indomito, nel 1975 fonda il Puk, il partito unitario curdo. Talabani e Massud Barzani, figlio del leggendario Mustafà Barzani e leader del Pdk, il partito democratico, sono i due carismatici politici che guidano il sogno di autonomia del popolo curdo.
A Sulaymanya nel marzo 1991 la popolazione scese in piazza. Migliaia di persone si riversarono nelle strade, prendendo d’assalto le caserme e gli edifici pubblici. Per ultimo fu cinto d’assedio il carcere di massima sicurezza dove venivano torturati e uccisi donne e uomini che credevano in un Paese libero. L’assedio durò più di ventiquattro ore. Poi anche il carcere fu invaso dagl’insorti. Moderna “Bastiglia”, oggi è lì, aperto al pubblico, per non dimenticare.
Subito a nord della città c’è un monte, il Pira Magrun. Come riporta la rivista “Archeologia Viva”, tre anni fa una spedizione del Laboratorio di Assiriologia dell’Università di Pisa arrivò fin qui per trovare conferme alla possibilità che questa sia la montagna del Diluvio Universale, e non l’Ararat come indicato nella Bibbia. L’ipotesi parte dalla rilettura degli scritti assiri, prende in esame i racconti mesopotamici dai quali discendono i testi biblici, per trovare, con la spedizione, conferma nella morfologia del terreno. Un’onda anomala, forse causata da un meteorite. Uno “tsunami” di migliaia di anni fa. Che risalendo controcorrente il Tigri e poi il suo affluente di sinistra, la Diyala, è andato a frangersi contro il Pira Magrun che s’innalza al centro di una valle. Si parla del Diluvio Universale, e non dell’Arca di Noè. Secondo i ricercatori, l’Arca, così come è stata tramandata, non è mai esistita. E’ un mito. E l’Iraq è la terra dove sono nati gran parte dei miti, che poi ritroviamo in tante civiltà.

Halabja
Dalla terrazza sul tetto del Babylon l’alba di Sulaymanya è striata di leggere nebbie che s’alzano lentamente nel cielo grigio. Si prospetta una giornata decisamente calda.
La città è tutta un cantiere. Si viaggia tra dossi e avvallamenti dovuti ai detriti che camion e bulldozer spostano da un punto all’ altro. Il pulmino va avanti scartando qua e là per evitare i lavori in corso.
Di buon’ora prendiamo la strada per Halabja. Correndo verso la periferia est della città, dal finestrino vediamo chilometriche code di “tacsì”, bianchi con la striscia orizzontale arancione. Sono tutti in coda in attesa della benzina razionata spettante a ciascuna autovettura, a prezzo calmierato. Nadhim mi dice che i tassisti dovranno pazientare lunghe ore. Fuori dalle auto ferme, chiacchierano e scherzano tra loro. Sanno che oggi è giorno dedicato al rifornimento di carburante. Ovviamente la benzina viene venduta anche dai privati. Si riconoscono, ai bordi ormai assolati della strada. Si vedono decine di taniche allineate l’una all’altra, in attesa di clienti. Il venditore afferra una tanica ed un grande imbuto, provvedendo a riempire il nostro serbatoio.
Halabja dista settanta chilometri da Sulaymanya. Eppure sono necessarie un paio d’ore per raggiungerla. Innumerevoli i posti di blocco. I peshmerga, una sedia di plastica e un ombrellone per ripararsi dal sole che sta salendo nel cielo azzurro, controllano le auto in transito.

Halabja è stata fino ai primi anni del secolo scorso un Principato autonomo. Dopo la Prima Guerra, con la fine dell’Impero Ottomano e la nuova ripartizione di tutti gli Stati che all’Impero facevano riferimento, andò a far parte anch’essa del Paese che le potenze vincitrici decisero di creare, l’Iraq. Non tenendo conto di un passato millenario. Ma della dislocazione dei giacimenti petroliferi.

Il 16 marzo 1988 era un mercoledì. Nel pomeriggio arrivarono gli aerei. Sganciarono le bombe con i gas chimici. Nell’aria si sparse un odore dolciastro. Che ricordava quello delle mele. Oltre 5000 morti. Uomini, donne, bambini fermati nei gesti della vita quotidiana. Le foto ce li mostrano che sembrano dormire. Come in quei documentari che ricostruiscono la fine di altre comunità, come a Hiroshima e Nagasaki.
A Halabja si nasce ancora con gravi malformazioni.

Arriviamo davanti alla scuola Marzabotto. La città italiana fin dal 1988 ha stretto un Patto d’amicizia con Halabja. Fu costruita questa scuola. E’ sicuramente uno degli edifici più belli del luogo. Qui studiano circa cinquecento bambini. Sulle scale che immettono nella struttura scolastica siamo accolti dalle canzoni di benvenuto dei piccoli studenti accompagnati dalle maestre. I bambini indossano i vestiti della festa. Sono tutti ben acconciati. I maschi presentano la divisa dei capelli demarcata. Le femmine portano, tra i capelli, trecce colorate che le mamme hanno sistemato con cura. Consegnano fiori di plastica, in questa terra che i suoi fiori li ha persi da tempo, a causa degli effetti letali delle armi chimiche sul terreno.
All’entrata un tavolo rotondo è ricoperto di candeline colorate che siamo invitati a spengere. Per terra un bambino, indosso l’abito tradizionale curdo, in testa la kefia a scacchi bianchi e neri.
E’ raccolto in posizione fetale. Un bambolotto racchiuso tra le mani. E’ la rappresentazione del giovane padre di Halabja che fu trovato morto, stringendo al petto la piccola figlia. L’immagine stessa, ormai, della tragedia di questa città e dell’intero Kurdistan iracheno.
Edoardo Masetti, il sindaco di Marzabotto, non ferma le lacrime, mentre ricorda come le due città si trovano unite dalla comune tragedia dell’eccidio dei propri abitanti. Un sentimento che irrompe nella storia. Essere rappresentanti della comunità. Comunità di bambini, di donne e uomini. Nessuno escluso.
Poi, classe per classe, la consegna a ciascun bambino degli zainetti, mentre compunti e incuriositi guardano Edoardo che rivolge loro parole di fiducia in un prossimo futuro di conquistata pace e tranquillità. Con i loro pochi anni possono permettersi di sperarlo. La nostra presenza, per loro, è il segno di un cammino aperto. Per noi un auspicio.

E poi…
Nei giorni successivi avremmo continuato a passare lunghe ore sul nostro scassato Mercedes. A intervallare incontri ufficiali e visite le più varie. Non ho visto Raman lamentarsi. Ha quattro anni. E’ figlio di Gulala e Nadhim. E’ la seconda volta che viene a trovare i nonni. Va detto che Raman non ha voluto essere a meno dei “supereroi”, protagonisti dei cartoni animati che più ama. Si è mai visto un “supereroe” che cede alla stanchezza?
In quei giorni Raman ha giocato spesso con Ara, la figlia dodicenne di Khadir Kareem e con i fratelli di lei. A vederli giocare tutti insieme, ho pensato che questa, forse, sarà la prima generazione che potrà vivere in un Kurdistan libero. Un Paese al quale è riconosciuta identità e storia.
Sul minibus siedo spesso accanto a Renzo. E’ di Cormons, dalle parti di Gorizia. Terra di eccellenti vini bianchi.
I friulani sono persone dai lunghi silenzi e dal cuore in mano. Non so se nel carattere di Renzo c’è il primo di questi tratti. Il secondo certamente. Insieme sul pulmino. E poi la sera a dividere la camera. Io con le mie battute da maramaldo toscano, lui con i suoi salaci sfottò venati d’ideologia.

Nel rimettere i bagagli per tornare a casa, si trova uno zainetto. Uno dei 500. Rimasto chissà come confuso tra altre cose. Fulgida me lo regala. Un ricordo di quei giorni. Lo uso, ora, come “valigetta” per i documenti e gli appunti.

Ci salutiamo. L’impegno è di ritrovarsi da Filippo. Al suo eremo. Un ex casello ferroviario nelle campagne intorno a Venezia. All’interno un grande camino, una libreria che strabocca di libri e cd. E poi il pianoforte, vero compagno dei momenti di solitudine. La rete ferroviaria corre a non più di un metro dalla recinzione del piccolo giardino. All’ombra di un albero, seduti intorno a un lungo tavolo, allietati dalla grigliata di carne e da un buon rosso locale, avremmo estratto dalla memoria i momenti trascorsi insieme. Gettato le basi di nuovi comuni progetti.
Ora quei progetti cominciano a prendere forma. Potrebbero diventare aiuti concreti per un popolo, quello iracheno, affamato di normalità.
Forse torneremo in Kurdistan. E riprenderemo il viaggio alla ricerca di noi stessi.
Lo zainetto verde è con me. Ricordo di un viaggio che ha lasciato la voglia di rivedere amici e luoghi conosciuti in un Paese lontano e bellissimo.

Andrea Misuri

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Insieme per la ricostruzione dell’Iraq - il documento conclusivo

10 settembre 2006 Pubblicato da roberto

Insieme per la ricostruzione dell’Iraq

Pianosa 19 e 20 agosto 2006

Convegno promosso da Mayors for Peace - Sindaci per la Pace, International Peace Bureau, Fondazioni Antonino Caponnetto e Sandro Pertini.

Hanno partecipato:

Delegazione Iraq:

  • Ministero degli Esteri del Governo dell’Iraq Fawzia Al Attia rappresentante del Sottosegretario
  • Parlamento del Kurdistan Mahtab Hussein responsabile delle relazioni internazionali
  • Camera di Commercio di Erbil (Kurdistan) Dilzar R. Husen

Comunità curda/IPB – Venezia:

  • Gulala Salih - Mediatore culturale Comune di Venezia
  • Nadhim Rashid - Asl di Venezia

delegazione Italia “Mayors for Peace”:

  • Leonardo Domenici - Sindaco di Firenze e Vice MfP - rappresentato da Susanna Agostini
  • Fiorella Alunni - Sindaco di Campi Bisenzio (Fi)
  • Edoardo Masetti - Sindaco di Marzabotto (Bo)

Governo Italiano - Ministero della Salute:

  • Maria Paola Di Martino - Direttore generale per i Rapporti con l’Unione Europea e per i Rapporti Internazionali

Fondazione Ime:

  • Paolo Marchese Morello - Direttore Generale dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze
  • Lettera di adesione al convegno della Regione Lazio

International Peace Bureau:

  • Tomas Magnusson - Vice presidente internazionale
  • Fulgida Barattoni - International Peace Bureau - Italia
  • Alberto Barbero
  • Roberto del Bianco
  • Luciano Scambiato
  • Lara Alpi - Giornalista
  • Katia Medri - Interprete
  • Andrea Misuri - Dip. Regione Toscana - Direzione Generale Diritto alla Salute

Fondazioni Caponnetto e Pertini:

  • Elisabetta Baldi Caponnetto
  • Domenico Bilotta
  • Maria Galioto

Altri istituzioni, associazioni e operatori sanitari:

  • Giovanna Ruscito - Circoscrizione 1 Firenze - Presidente commissione sistemi educativi
  • Federica Masi e Fabio Laurenzi - COSPE - Cooperazione Sviluppo Paesi Emergenti
  • Massimo Barattini-U.O.Anestesia/Rianimazione ASL10– Esperienza in Afganistan
  • Giovanna Zatelli - Dirigente SS di Fisica Sanitaria Asl di Firenze
  • Nadia Conti - Consigliera Comune Campi Bisenzio – volontariato

Archeologia Viva:

  • Piero Pruneti - Direttore rivista

Hanno contribuito al confronto altri soggetti presenti:
dirigente Croce Rossa Italiana, direttore dell’Istituto penitenziario di Pianosa, direttore didattico del Carcere Porto Azzurro e referente Cooperativa S. Giacomo, rappresentante dell’Ente Parco dell’Arcipelago.

L’iniziativa, a partire dalla composizione dei partecipanti, è stata finalizzata all’avvio di un tavolo aperto, necessario a caratterizzare le azioni da porre in essere attraverso il confronto continuo tra istituzioni e organizzazioni delle società civili italiane e irachene che si impegnano nel progetto.
Si potrà così contribuire concretamente ad armonizzare le singole attività sul territorio, tenendo conto dei diversi contesti, efficacemente descritti dalle rappresentanze irachene presenti al convegno. La situazione complessiva richiede congiuntamene interventi di emergenza e di riorganizzazione strutturale.

A conclusione dei lavori sono state individuate le seguenti 5 priorità:

1 ) Soluzione del conflitto/Educazione alla Pace

Promuovere un cambiamento culturale rivolto alla convivenza pacifica.
La strategia operativa di questa prima fase richiede di avviare intensi rapporti con le istituzioni (sindaci per la pace, istituzioni centrali, regionali e territoriali di primo livello, responsabili delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, organizzazioni e associazioni della società civile) allo scopo di facilitare le relazioni fra le diverse etnie anche realizzando semplici eventi d’incontro.
Il convegno internazionale “I kurdi promuovono il dialogo interetnico per la pace in Iraq” che avrà luogo in Sulaymanyia il 14/04/2007, promosso dai sindaci iracheni e italiani aderenti alla Mayors for Peace e da IPB-Italia, sarà anche l’opportunità concreta d’incontro di tutti i partner istituzionali (italiani e iracheni) necessari al processo costruttivo.
In un contesto reso favorevole dall’impegno delle istituzioni locali e centrali volto alla pacificazione nazionale, saranno originati una molteplicità di interventi di peace education, anche di piccola portata, specifici e mirati alle caratteristiche umane e culturali delle popolazioni. Ciò potrà avvenire anche attraverso un’opera di formazione dei formatori, con una particolare attenzione verso l’educazione scolastica e la società civile organizzata in associazioni.

2) Cooperazione per la salute e servizi socio-sanitari

Dare il sostegno alla realizzazione di un nuovo sistema sanitario che sia basato sulla prevenzione e sull’accessibilità, equità e qualità dell’assistenza socio sanitaria irachena.
Con il contributo dell’Università avviare una specifica ricerca per il risanamento ambientale allo scopo di prevenire danni genetici derivanti dall’inquinamento del suolo dovuto all’uso di armi chimiche e batteriologice soprattutto nel territorio del Kurdistan.
Tenuto conto degli interventi in atto da parte di istituzioni italiane e internazionali, in particolare dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal convegno emerge l’opportunità di attivare un sistema d’interventi in rete. Attraverso una governance istituzionale, quale migliore garanzia di continuità, non frammentazione di interventi e inclusione di tutti i bisogni dell’intera popolazione. Dovrà essere altresì contestualmente sostenuto l’aggiornamento tecnologico e professionale di operatori socio-sanitari e specialisti in qualità ambientale.
Allo scopo di garantire il recupero di serenità e salute del popolo iracheno, è necessario che fin da subito sia avviato, possibilmente anche con il contributo dell’esercito italiano ancora presente, lo sminamento del territorio. Ascoltata la denuncia relativa alla presenza diffusa di mine inesplose, presenti nei luoghi di vita e lavoro delle persone, come fonti di quotidiani drammi umani.
Con l’impegno delle Città italiane i cui Sindaci aderiscono alla Mayors for Peace, potrà essere promossa la costruzione di nuove infrastrutture necessarie ad attivare nuovi servizi. Le iniziative della Mayor for Peace, inoltre, potranno garantire azioni che sottolineino il carattere trasversale della tutela della salute attraverso specifici progetti come: ambiente e salute, donne e salute, infanzia e salute, economia e salute, povertà e salute, lavoro e salute, pari opportunità e salute.

3) Politiche per la legalità e la democrazia

La situazione generale in Iraq, evidenziata anche dalla rappresentanze irachene, è caratterizzata da una diffusa vulnerabilità della popolazione. La guerra e le sanzioni economiche hanno indebolito gravemente l’economia, le infrastrutture, i servizi sociali e sanitari.
Unanime condivisione è stata espressa sull’esigenza di supportare ogni iniziativa volta alla ricostruzione. Con trasparenza e con regole certe. Per scongiurare che il passaggio da un mercato di guerra ad un mercato di sviluppo possa aprire la strada a poteri forti estranei al percorso democratico.

4) Politiche riguardanti la condizione femminile e le pari opportunità

Pressante è la richiesta di percorsi innovativi coerenti con una concreta politica di pari opportunità. Sono state fortemente recepite le necessità di definire regole certe per attivare azioni di empowerment a garanzia di libertà individuale, cittadinanza nazionale e internazionale, senza distinzione di genere.
Il tavolo ha fatto emergere la concreta possibilità di cooperazione e incontro tra le esperienze maturate in Italia e in Europa nelle istituzioni e nella società civile e le esperienze associative e formative delle donne presenti sul territorio iracheno.
In particolare è stata approfondita l’opportunità di promuovere forme di cooperazione per lo sviluppo economico a partire dalle imprese e dalle attività autonome, attraverso forme cooperativistiche d’impresa e lavoro femminile.

5) Politiche per lo sviluppo economico

Il partnerariato economico tra Italia ed Iraq potrà essere in primo luogo un contributo alla richiesta di regole certe e trasparenti nelle questioni di mercato. Nelle zone soggette a minori tensioni conflittuali è stata sottolineata l’opportunità di promuovere l’apertura di uffici bilaterali per il commercio e lo sviluppo di scambi. Questi uffici potranno costituire strumenti atti a richiamare l’attenzione di imprese italiane là dove investitori francesi e tedeschi sono già presenti.
Il turismo e la scoperta di importanti siti archeologici potranno diventare progetti volti alla conoscenza, allo sviluppo culturale ed economico,oltre ad incentivare la conciliazione rispetto ad un popolo che vive in un territorio ancora sede di conflitto.
Istituzioni e associazioni con particolari esperienze nel campo della cooperazione allo sviluppo economico potranno essere preziosi garanti di trasparenza e referenti per avviare il complesso processo, necessario alla ricostruzione.

Soggetti referenti:

Il presente documento, nella stesura finale condivisa da tutti i partecipanti, sarà presentato a:

  • Governo Italiano e Governo Iracheno. In particolare ai Ministri degli Affari Esteri, Salute, Pari Opportunità, Attività Produttive, Pubblica Istruzione.
  • Tutti i Sindaci italiani e iracheni aderenti alla Mayors for Peace.

Sottoscrittori per soggetti promotori:

  • Mayors for Peace: Leonardo Domenici, Fiorella Alunni, Edoardo Masetti, Susanna Agostini
  • Ministero della Salute: Maria Paola Di Martino
  • Ime /Az. Ospedaliera Meyer: Paolo Morello Marchese
  • IPB: Fulgida Barattoni
  • Fondazioni Caponnetto e Pertini: Elisabetta Baldi Caponnetto
  • Cospe: Federica Masi

Si stabilisce che il tavolo nato da questo convegno rimane aperto al contributo di istituzioni, associazioni e persone che vorranno aderire, condividendo con i promotori azioni e scopi.

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Un pensiero che condividiamo

La Signora Elisabetta Caponnetto, al termine del convegno, che ha seguito in tutte le sue fasi, ha voluto esprimere i propri sentimenti con una frase scritta dal giudice Antonino Caponnetto:

“Una lunga strada ci attende, dovremo percorrerla tutti insieme mano nella mano”.

Nota: Il documento originale (formato .DOC) è reperibile qua:
ITA - ENG

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Colori, suoni e profumi ci aspettano in Kurdistan

21 luglio 2006 Pubblicato da roberto

Sempre da Andrea Misuri, il compagno di viaggio che questa primavera ha partecipato alla missione diplomatica dei “Sindaci per la pace”, un nuovo racconto, una testimonianza viva seppure da un’altra angolazione.
Perché Iraq alla fin fine, vuol dire anche e soprattutto, con la sua storia millenaria, la culla della civiltà.

Troppo spesso, presi da un quotidiano che ripete all’infinito gli orrori di tutte le guerre, dimentichiamo cosa è l’Iraq. Qui ritroviamo i miti, le leggende, gli avvenimenti storici che imparammo a conoscere negli anni della scuola. Qui si perdono, dissolvendosi a ritroso nel tempo, gli archetipi di “Le Mille e una Notte” che hanno segnato l’infanzia della civiltà dell’uomo.
Ma anche l’infanzia di tanti di noi, popolata dai personaggi delle favole che Shahrazad, notte dopo notte, raccontava al crudele re Sharayar. Favole spesso ambientate in una Baghdad di tappeti volanti e di lanterne magiche, di personaggi come Sindbad il marinaio o Khalifa il pescatore.
Quante volte Shahrazad, affabulatrice per eccellenza, comincia la nuova favola: “C’era una volta nel tempo dei tempi, nella città di Baghdad…”

L’intero reportage (corredato di foto) è pubblicato nel sito di Peacelink. Clicca qua!

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Le istituzioni fiorentine e il Kurdistan iracheno

4 maggio 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

Le Istituzioni fiorentine da lunga data sono dalla parte di coloro che si battono per i propri diritti.
Ne è testimonianza questo comunicato stampa (clicca su “Leggi tutto”) per la visita, in Palazzo Vecchio, della scrittrice Laura Schrader, in occasione del Newroz, il Capodanno curdo.
I rappresentanti della Commissione Pace del Comune di Firenze, il 25 marzo di sei anni fa, esprimevano la denuncia della violazione dei diritti umani nel Kurdistan Iracheno e lanciavano la proposta di una campagna di adozione a distanza dei bambini orfani.

La delegazione dell’Ufficio italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è rientrata da poco da una visita in quel martoriato Paese. Facevo parte della delegazione ed ero anche latore di un messaggio di Leonardo Domenici sindaco di Firenze e vice-presidente della MfP per il sindaco di Halabja.

Abbiamo visto le sofferenze causate dai tanti lutti. Abbiamo imparato a conoscere il desiderio di autonomia dei curdi. Il loro orgoglio. La volontà di costruire un Paese che cerca la pace.
L’incontro con Mrs. Hero Talabani, moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani, ci ha permesso di affrontare un tasto particolarmente doloroso. La First Lady presiede, infatti, l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Da allora, sono più di 2800 le adozioni a distanza realizzate.
Un filo conduttore invisibile, eppure concreto, collega e mette in rete Firenze con realtà come quella del Kurdistan Iracheno. Perché, in qualche modo, mi fa piacere pensare che non può essere un caso se la delegazione italiana ha gettato concretamente il seme, per il Newroz del 2006, di quei progetti, di quelle idee delle quali avevano parlato i rappresentanti delle Istituzioni fiorentine nella primavera del 2000.


COMUNICATO STAMPA

Firenze, 25 Marzo 2000

PALAZZO VECCHIO IN AIUTO DEL KURDISTAN

Ogni sopruso commesso nel Kurdistan non rimarrà sotto silenzio ma da Firenze verrà denunciato con forza a tutte le istituzioni politiche mondiali. La promessa di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia che ogni giorno vive il popolo kurdo è stata fatta ieri sera dal Presidente della commissione consiliare Pace e solidarietà internazionale Lorenzo Marzullo durante l’incontro-dibattito, in Palazzo Vecchio, con la scrittrice e giornalista Laura Schrader. Marzullo ha sottolineato che la commissione Pace, da Firenze, «controllerà e denuncerà ogni violazione dei diritti umani nel Kurdistan». Anche il Presidente del Consiglio comunale ha sottolineato come il popolo kurdo «viva in condizioni tragiche e disperate e nella generale disattenzione» ed ha auspicato che «il Kurdistan possa diventare uno stato autonomo e sovrano capace di decidere autonomamente del proprio destino».
Dal canto suo la consigliera Susanna Agostini ha lanciato la proposta di una campagna di adozioni a distanza dei bambini orfani del Kurdistan iracheno, in particolar modo di quelli che ancora abitano nelle città distrutte dai soldati di Saddam Hussein.
Secondo il consigliere Rodolfo Cigliana «va sottolineato il duplice intento della commissione Pace». «Anzitutto - ha detto Cigliana - quello di sollecitare una nuova maggiore attenzione della comunità internazionale tramite la città di Firenze per il “problema kurdo”, nel nome del rispetto dei diritti delle minoranze». «Poi - ha proseguito Cigliana - quello di sollecitare nuove forme di solidarietà con un intervento internazionale a favore del popolo kurdo ancora oggi costretto alla diaspora e un intervento locale a favore dei profughi presenti nella nostra città attraverso una più ampia conoscenza delle radici storiche e delle tradizioni culturali». (fn)

Nota: Pubblicato anche su http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_16141.html

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Appunti da un viaggio in Kurdistan

21 aprile 2006 Pubblicato da roberto

di Andrea Misuri

APPUNTI DA UN VIAGGIO IN KURDISTAN

Una delegazione dell’Ufficio Italiano dell’International Peace Bureau e della Mayor for Peace è stata nel Kurdistan Iracheno, ospite del sindaco di Halabja, Khidr Karem Aktar.
Vivere dieci giorni in un Paese che conosciamo esclusivamente attraverso le immagini dei telegiornali. Il popolo curdo è attualmente diviso tra Irak, Iran,Turchia e Siria. Forte il desiderio di autodeterminazione. Il sogno, un giorno essere un solo Paese. Proviamo, allora, a dipanare il filo di Arianna delle nostre emozioni.
La delegazione aveva ricevuto l’invito a partecipare, il 16 marzo, alla commemorazione del bombardamento con armi chimiche del 1988 durante il quale, a Halabja, morirono oltre 5.000 civili e ci furono più di 10.000 feriti, su una popolazione di 70.000 abitanti.

Abbiamo visitato anche alcuni di quei 5000 villaggi bombardati tra il 1987 e il 1988. E’ l’Anfal. 182000 le vittime. Desaparecidos. Tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni.
Il sindaco di Halabja , Khidr Karem Aktar, 46 anni, personalità forte, i folti baffi che scendono appena sui lati della bocca, al centro di un viso aperto e volitivo. Abiti impeccabili. Il sorriso accattivante. Per noi tutti, riferimento istituzionale costante, in questo viaggio attraverso una terra bellissima e sconosciuta.
Il 15 marzo a Halabja abbiamo visitato la scuola costruita, nel 1998, con i soldi raccolti dagli abitanti di Marzabotto, che avevano versato un’ora di salario. La scuola, per 500 bambini delle primarie, fino ai 12 anni, è composta da una decina di classi. Porta il nome di Marzabotto, così come la via e il quartiere. C è una radicata riconoscenza, a Halabja, verso la città che ha permesso di costruire la scuola. Avevamo con noi zainetti per tutti i bambini.
La visita è proseguita al Mausoleo che ricorda le vittime della strage. Per tutto il Kurdistan, un simbolo della libertà conquistata.
La mattina dopo stavamo per arrivare a Halabja, quando ci ha fermato una telefonata del sindaco. Non potevamo entrare in città.
Era prevista una manifestazione di studenti. Protestavano, accusando il Governo di ricordarsi di Halabja una volta l’anno, il 16 marzo. Chiedevano che, in questa martoriata città, si avviassero gli investimenti economici, da anni promessi e non mantenuti. Per dare visibilità alla manifestazione, avevano deciso che il corteo avrebbe raggiunto il Mausoleo.
C’erano 2/3 mila persone. Manifestanti con il viso coperto hanno attaccato, con le armi, i soldati. Distrutto e incendiato il Mausoleo. Dopo oltre un’ora di battaglia le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo della situazione.
Nel frattempo, sulla strada che da Sulaymanya va a Halabja, abbiamo visto transitare due camion. A bordo, le teste di cuoio curde. I kalashnikov in braccio, i passamontagna neri calati sul viso.
Alla fine, 1 morto e 17 feriti. Un bilancio pesante davvero.
La posizione ufficiale del Governo è che fin dal giorno precedente, nella zona erano state notate persone non del luogo. Era stato fermato un curdo proveniente dal vicino Iran che doveva compiere un attentato. Fino al 2003, qui operavano i Ginud (Soldati) Al Islam, poi divenuti Ansar Al Islam, vicini ai fondamentalisti religiosi. Il confine iraniano, a 15 chilometri, corre lungo le montagne Shinerwe, a marzo ancora innevate, che facilitano infiltrazioni.
La commemorazione prevista è stata possibile effettuarla due giorni dopo. Il Consiglio Comunale insieme ai rappresentanti dei familiari delle vittime. I volti di pietra tradiscono una vita dura. Tanti lutti alle spalle. E davanti, un futuro difficile. Prende la parola anche Najmadin Muhamad Amin, geologo. E’ il Presidente del Consiglio Comunale. Le sue parole, di grande sobrietà, ci ricordano, ancora una volta, il dramma quotidiano di questa città.
Poi la cerimonia al cimitero. Il cimitero delle vittime dei bombardamenti chimici. Tante, tantissime lapidi. Allineate, una accanto all’altra, tutte uguali. Una per ogni famiglia, con i nomi delle persone scomparse. Cimitero senza morti. Perché i morti furono raccolti in fosse comuni, lì accanto. Una Spoon River mai cantata da nessun Edgar Lee Masters. La deposizione di una corona di fiori di carta, in una terra che non ha fiori.
Incontro Arass, dell’Halabja Chemical Victims Society. Una trentina d’anni, alto, il corpo incredibilmente magro. Il naso grande sopra un bel paio di baffi sul viso allungato. Mi stringe forte la mano. Mi guarda negli occhi. Il suo è uno sguardo infinitamente addolorato. Interrogativo. Vuol sapere se non dimenticheremo. Improvvisamente lo vedo abbassare gli occhi. Abbandonarsi al ricordo delle persone care scomparse nell’eccidio. Nessuna famiglia ne è immune. Un novello inviato di Erode, quel giorno, entrò in tutte le case di Halabja.

E se la strage di Halabja una sua sinistra notorietà, a livello internazionale, l’ha raggiunta, cosa dire del silenzio a lungo calato sulle stragi di Balessan e Shek Wassan.
Per 72 ore gli aerei bombardarono con armi chimiche questi villaggi e successivamente le montagne, verso il confine vicino, dove era stato previsto, come infatti accadde, che i fuggiaschi avrebbero cercato rifugio. I feriti che cercavano di raggiungere gli ospedali, catturati, vennero sepolti vivi.
E mentre i responsabili del villaggio ci raccontano tutto questo, i bambini accorrono dai vicoli, attratti dai palloncini colorati che abbiamo portato e che Fulgida, Lara e Luciano stanno gonfiando a tempo di record.

Erbil è la capitale. Con oltre 5.000 anni di storia è considerata la città più antica del mondo. E’ qui che si è sviluppata la civiltà dei sumeri.
Il Kurdistan, ottenuta l’autonomia politica, si suddivide in tre Province. Le principali, a nord la provincia di Erbil, a maggioranza PDK. A sud quella di Sulaymanya, governata dal PUK. I governanti locali, che potrebbero corrispondere ai nostri assessori regionali, sono chiamati ministri.
Il Parlamento è di 105 deputati. Vi sono rappresentate anche minoranze etniche e religiose, tra le quali quella cristiana copta. In Parlamento le quote rosa raggiungono percentuali elevate.
Fin dal giorno del nostro arrivo abbiamo avuto l’opportunità di incontri con le autorità centrali e locali.

Abbiamo incontrato una decina di sindaci di città e villaggi della Provincia di Sulaymanya.
I sindaci, per quel che abbiamo compreso, svolgono un ruolo da noi rappresentato, in parte, dai prefetti. Infatti hanno anche compiti di ordine pubblico, in una quotidianità sempre a rischio di attentati.
Realtà sociali spesso molto diverse tra loro, con profonde disuguaglianze, che aumentano a dismisura appena usciamo dalle sterminate metropoli di 800/900 mila abitanti, tipiche del Medio Oriente, come Erbil e Sulaymanya, e ci si addentra tra le montagne brulle, verso il confine con l’Iran, dove si vive di pastorizia e dove le abitazioni sono casupole di pietra con i tetti di fango.
Gli incontri avvengono nelle sedi dove i sindaci svolgono la loro attività istituzionale. Palazzine a un piano. Stanze spesso disadorne. L’indispensabile dei tempi di guerra. Sui tavolini, sempre il cesto della frutta. Ti offrono il caffè nero speziato, in minuscole tazze colorate. E il tè bollente, nei tipici bicchieri mediorientali di provenienza turca. In un angolo, la televisione. Sempre accesa, sottofondo costante dei nostri incontri istituzionali. Fuori, polvere e soldati armati, raccolti a gruppi, o seduti per terra, a chiacchierare. O acciambellati sopra le camionette scoperte, a fumare. In attesa di un nemico. Moderna Fortezza Bastiani. Ma qui, i soldati non aspettano l’arrivo dei misteriosi nemici dal nord del deserto dei Tartari. Qui il pericolo può nascondersi ovunque.

Abbiamo visitato l’ospedale di Emergency di Sulaymanya, attivo dal 1998, dove si curano le vittime delle mine. Quasi dieci milioni sparse sulle montagne. Di fabbricazione in gran parte italiana. Il periodo di degenza è di sei mesi. L’ospedale non ha soltanto lo scopo di preparare le protesi per sostituire gli arti mancanti, insegnando ai pazienti ad utilizzarle. Svolge anche un ruolo fondamentale aiutando il reinserimento sociale di queste persone. Qui i ricoverati imparano un mestiere. D’altro canto, in buona parte erano pastori, perché è sulle montagne che sono seppellite le mine. I corsi per gli uomini sono per falegname, fabbro, calzolaio. Quelli per le donne sono di cucito.
Sempre a Sulaymanya siamo stati alla Facoltà di Medicina. L’incontro con il Dr. Nazar Mohammad Amin. Intorno, gli studenti. Ci vogliono ricordare quando scoppiò la guerra, e la popolazione si rifugiò sulle vicine montagne. Gli studenti, con il loro insegnante, indossarono il camice bianco per curare i feriti ed insieme imbracciarono il kalashnikov per difendere l’Università dalle scorrerie dei fondamentalisti religiosi. Qui vengono curati i bambini che ancora oggi, figli di chi subì i bombardamenti chimici, nascono con gravi malformazioni.

L’incontro più importante, con Mrs. Hero Ahmed Talabani moglie del Presidente della Repubblica dell’Iraq, Jalal Talabani. Mrs. Talabani, un donna minuta, gli occhi vividi, i capelli corvini che scendono appena sulle spalle. Ex partigiana, presiede l’associazione Kurdistan Save the Children Children’s Fund, da lei fondata nel 1991. Si occupa dell’infanzia abbandonata. Sono più di 2800 le adozioni a distanza già realizzate.
Con Mrs. Talabani abbiamo parlato delle conseguenze delle stragi con le armi chimiche compiute 18 anni fa. Dovranno trascorrere 3 o 400 anni prima che il terreno e le acque non siano più contaminati. Il problema è che non si conosce ancora la composizione esatta di queste armi. Gli agenti chimici usati erano una miscela di iprite e di gas asfissianti nervini, tra i quali sarin, tabun e VX. I sopravvissuti, di quel giorno, ricordano soltanto l’odore dolciastro nell’aria. Gli unici, in Occidente, che hanno studiato l’argomento, sono gli specialisti dell’Università di Liverpool. L’appello che Mrs. Talabani ci ha rivolto, è di comunicare al mondo questa tragedia. Di non lasciarli soli. C’è la necessità di avviare una ricerca sulle conseguenze di contaminazioni chimiche di seconda generazione.

Andrea Misuri ha partecipato alla missione di pace nel Kurdistan iracheno ed è stato latore del messaggio che il Sindaco di Firenze e vicepresidente della Campagna “Mayors for Peace”, Leonardo Domenici, ha inviato al Sindaco di Halabja.

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