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Newroz: Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

20 marzo 2007 Pubblicato da roberto

Ecco un breve comunicato in occasione del Newroz, il “Capodanno” di antichissime origini, celebrato non solo dal popolo curdo ma dai vari popoli di origine iranica.
Un breve estratto è presente come comunicato stampa nel sito del Comune di Firenze.

Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

Lo scorso anno, in questi giorni, una delegazione italiana dei Sindaci per la Pace e dell’International Peace Bureau-Italia, era nel Kurdistan iracheno per una missione di pace. Da allora, incontri istituzionali e non solo, hanno proseguito relazioni politiche di aiuto e solidarietà verso quel martoriato Paese.
Ci piace augurare oggi un buon anno alle comunità fiorentine di origine iranica che festeggeranno l’arrivo del 2708.
E insieme a loro, il nostro pensiero e augurio va a quanti abbiamo conosciuto in questo primo anno di attività di cooperazione sanitaria in Iraq.
Il 21 marzo le famiglie imbandiscono la tavola per la celebrazione della festa, con uova e vasi colorati. Sul tavolo sette oggetti che cominciano con la lettera “s”. Il grano viene seminato nei piatti, si servono dolci e frutta secca.
E’ il Newroz , il “Nuovo Giorno”, per tutti i popoli di origine iranica. E’ il tempo di dimenticare i rancori e dare un nuovo segno di amicizia e di solidarietà . E’ proprio così che comincia ogni nuovo anno, nella speranza che sia portatore di buone notizie per il mondo intero.
Sono i giorni durante i quali si vanno a trovare gli amici e i parenti anziani. I piccoli ricevono i regali.
Si parla spesso di contaminazioni culturali e di condivisione delle emozioni con le comunità etniche che vivono nelle nostre città. Parteciperò a questo appuntamento per condividerne le tradizioni.
Il 21 marzo è l’equinozio di primavera. Una ricorrenza da sempre ricordata dalla civiltà contadina, anche da noi in Occidente.
Auguri per il “Newroz” e Felice Primavera per tutti!

Susanna Agostini
Delega MfP per il progetto Iraq – Comune di Firenze

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Per un 2707 di Pace

20 marzo 2007 Pubblicato da roberto

Ecco un racconto che è un racconto di storia, e, insieme, un ricordo.
Il 21 marzo - non solo dal popolo curdo, ma presso tutti i popoli di stirpe iranica - dai tempi dei tempi si celebra il “Nuovo Giorno”, appunto, il Newroz.
Dalla penna di Andrea Misuri un articolo fresco di ricordi e antico di storia. Che immerge anche noi lettori, quasi per magia, tra i popoli e le tradizioni di quella regione dove nacque la nostra civiltà.

In queste ore, sugli spalti del Castello di Erbil, stanno bruciando i falò.

E’ il Newroz, il capodanno delle popolazioni di origine iranica, il “Nuovo Giorno”.
Oggi si entra nel 2707. Nella ricorrenza si ritrovano aspetti mitici, storici, sociali, che ne fanno un momento di forte identità per un popolo, quello curdo, da tempi immemorabili perseguitato e disperso. La diaspora curda, meno conosciuta di quella di altri popoli, se si guarda al numero di persone coinvolte è sicuramente fra le più grandi. Ben si comprende, quindi, come in questo caso, il mito abbia svolto una fondamentale funzione di coesione, legando l’origine del popolo ad eroici antenati pre-islamici.
Mi piace ricordare che del coraggio dei combattenti curdi parla già l’Anabasi di Senofonte. Una campagna militare di oltre due millenni fa, culminata nella effimera vittoria di Cunassa (401 a.C.) in cui Ciro il giovane trovò la morte, e in una faticosissima ritirata di migliaia di chilometri. I 10.000 opliti greci, mercenari al servizio di Ciro, spintisi fino all’odierna Baghdad, tornarono indietro, cercando di raggiungere le lontane rive del Mar Nero (sorvoliamo sulle possibili analogie con la storia attuale). Accadde dunque che i fuggiaschi attraversarono il territorio dei Curdi, noti come Caduchi, che “vivevano sulle montagne ed erano un popolo bellicoso, che rifiutava di obbedire al re” (Anabasi, III, 5, 16). Certamente, un incontro per niente amichevole. Anche Marco Polo, tanti secoli dopo, descrive i Curdi come “tristi e bellicosi”.
Ma torniamo agli antenati della tradizione. E’ il poema epico “Il Libro dei Re” di Firdusi, del X secolo d.C., che racconta la genesi culturale dei popoli iranici. E’ leggendo queste pagine, peraltro bellissime, poetiche, ricche di notizie sulla vita quotidiana in quelle epoche antiche, che possiamo riavvolgere il filo del tempo, conoscere eventi fantastici collocati in un passato molto remoto.
Si favoleggia che il despota Dahak avesse sulle spalle due serpenti che ogni giorno si nutrivano con il cervello di due giovani curdi. Ma il servitore che doveva uccidere i fanciulli, preso da pietà, ogni giorno ne uccideva uno soltanto, sostituendo il cervello dell’altro con quello di una pecora. I giovani sopravvissuti si rifugiarono sulle montagne. Così nacque il popolo curdo, “gli uomini delle montagne”.
Un giorno, Kawa un umile fabbro ferraio d’Isphahan (nell’attuale Iran), il cui figlio doveva essere dato in pasto ai serpenti, trovò il coraggio di opporsi al tiranno. Kawa prese il suo grembiule di cuoio e lo issò su di un asta, facendone la bandiera che avrebbe guidato gl’insorti. I fuochi accesi sulle montagne sarebbero stati il segnale della rivolta. Fu richiamato il legittimo discendente regale, il giovane Fredun. La popolazione, guidata da Kawa, rovesciò la dittatura.
Fredun catturò Dahak e lo portò sulla catena montuosa di Alborz, e lo legò in catene sulla sua cima, Damavand. Ancor oggi Damavand svetta alta verso il cielo, con i suoi oltre 5.000 metri, a nord-est di Tehran. La sua punta, perennemente coperta di neve, è visibile da ogni angolo della città. Lo sviluppo urbanistico, ormai, ne lambisce i primi contrafforti, indifferente alle leggende raccolte dal poeta Firdusi. Attualmente, sul Davamand, al campo base di Goosfand Sara (La dimora delle pecore) e al rifugio di Bazrgah-e-Sevom (Terzo color grano), quando la stagione lo permette, s’incontrano esperti scalatori, che si stanno acclimatando alla quota, in attesa della salita finale.
Abbiamo visto come il grembiule di Kawa fosse diventato il vessillo della rivolta. Un oggetto semplice, di uso quotidiano, assurgeva così a punto di riferimento di un popolo oppresso. Insieme al fuoco, da sempre indispensabile a forgiare gli oggetti nelle botteghe dei fabbri e divenuto simbolo della lotta al crudele Dahak. Quello stesso fuoco che da tempo immemorabile veniva acceso in luoghi diversi, prima dell’alba dell’equinozio di primavera, dalle antiche popolazioni. Quel fuoco con cui si usava venerare Mazda, il dio di cui Zaratustra era il profeta, prima che i curdi si convertissero all’Islam, quando entrarono a far parte dell’Impero Ottomano, nel VII secolo d.C.

La leggenda di Kawa, in realtà, trova un radicamento nella storia. Con un riferimento preciso alla vittoria dei Medi sugli Assiri e la distruzione della loro città più bella, Ninive.

Ninive si trovava vicino all’attuale Mossul. Lungo il Tigri, crocevia di comunicazione fondamentale sulla via che univa l’Oriente ai Paesi che si affacciavano sulle rive del Mediterraneo.
Quartieri residenziali si alternavano ai templi. Lungo le possenti mura che chiudevano la città, furono costruite diciotto grandi porte, a guardia delle quali furono poste gigantesche statue di tori dalla barba riccia, guardiani che incutevano timore ai visitatori.
Ninive raggiunse a quel tempo i 120.000 abitanti, gran parte dei quali importati a forza dalle città nemiche distrutte. Un numero impressionante per l’epoca. Nel racconto biblico di Giona è chiamata la città “dei tre giorni di viaggio”, ad indicare la sua grandezza.
I re assiri che si succedettero portarono avanti una politica di conquista nei confronti di popoli anche lontani dalle loro terre: Caldei, Filistei, Cimmeri, Mannei, Sciti, Medi. Nessuno si poteva considerare al sicuro dalla voglia di conquista degli Assiri. Fu invaso l’Egitto. Poi toccò al regno di Elam. Furono sconfitti gli Arabi, alleati di Babilonia, la grande nemica. La mitica Babilonia fu completamente distrutta. E con lei, quella Torre di Babele, simbolo della presunzione dell’uomo.
Nel 612 a. C. un’alleanza tra i Medi del re Ciassare e i Babilonesi del re Nabopolassar portò all’assedio di Ninive. Durò tre mesi. Troppo estesa la città, troppe le porte da proteggere. L’alleanza contro il comune nemico aveva permesso di raccogliere un gran numero di assedianti che sconfissero gli Assiri. La lunga oppressione era terminata.
Da quell’anno decorre il calendario dei Curdi, con ogni probabilità discendenti dei Medi, che si erano mescolati con la popolazione autoctona che abitava quei territori.

Il Newroz si festeggia in Irak, Iran, Pakistan, Afghanistan, oltre che in alcune regioni dell’India e della Cina abitate da minoranze iraniche. Questo non succede in Turchia, dove la ricorrenza coincide ormai, da molti anni, con una stretta sorveglianza dei militari e con dure repressioni della popolazione curda. Il Newroz diviene occasione d’identità. Il segnale annunciato di un malessere, di un desiderio di libertà pericolosi per il potere. L’atteggiamento delle autorità ha fatto sì che per il 21 marzo, nel Kurdistan turco, ogni anno, arrivano numerosi osservatori internazionali.

Alle prime luci dell’alba, i fuochi sugli spalti del Castello di Erbil si vedono da ogni angolo della città, a ricordare la rivolta del fabbro Kawa.
Da lassù, vicino ai falò, il bazar sottostante si estende a perdita d’occhio. Dagli spalti, illuminati dal riverbero delle lingue di fuoco, sembra quasi di percepire i profumi e gli odori che fra poco usciranno dalle mille botteghe sottostanti. Le grida dei venditori che si mescoleranno, inseguendosi, a quelle dei compratori intenti a mercanteggiare sul prezzo.
Intanto, la città si sveglia al “nuovo giorno” di festa. Lunghe colonne di auto e di mezzi d’ogni sorta prendono la strada che a nord di Erbil s’allunga verso la campagna: un rettilineo infinito, sorvegliato, a intervalli regolari, da gruppi di soldati. Sorridono, scambiando saluti e parole con le famiglie festanti.
Il Newroz è anche occasione per capire meglio il ruolo della donna nella società. Ruolo e libertà decisamente maggiori rispetto a quelle di altri Paesi islamici. Un aspetto, questo, della società curda, già evidenziato dai viaggiatori occidentali nei secoli passati. Lo si può vedere dagli abiti indossati dalle donne in questo giorno di festa. Abiti dai colori vivaci, che non nascondono la femminilità. Lo si nota dalle danze popolari, spesso di donne e uomini insieme, accompagnate da una musica coinvolgente. Danze che vanno avanti per ore, sui prati, fermandosi e ripartendo in un incessante inno alla voglia di vivere. Tenendosi per mano, o per le braccia, eseguono girotondi dalle tante varianti. Queste danze rappresentano un aspetto importante della vita sociale.

Mi fa piacere pensare che in queste ore, a Erbil, a Sulaymanya, a Halabja, a Balessan, a Chamchamal, ma anche a Baghdad, come in Canada e in Italia, gli amici che abbiamo conosciuto stanno festeggiando. Ballando e cantando le canzoni della tradizione, mangiando kebab, kifta e yogurt sulle tovaglie apparecchiate sui prati, guardando i fuochi che bruciano sulle colline, a simboleggiare l’antica voglia di libertà di un popolo.
Kareem, Ara, Muhamad, Hero, Dana, Shreein, Mahtab, così come Gulala, Nadhim e Rashid, che il 2707 possa essere per voi, per noi e per tutti un anno davvero “nuovo” di pace ed amicizia.

Nota: L’articolo (corredato di foto) è pubblicato anche nel sito di Peacelink.

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Newroz: Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

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A volte ritornano: che sta succedendo con il riarmo nucleare?

27 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Da Angelo Baracca - nostro socio onorario, fisico nucleare e docente universitario - una lunga intervista raccolta da Olivier Turquet della rivista online “Buone Nuove”.

Essa fa il punto della situazione attuale. Corea del Nord, Iran, Stati Uniti - e senza dimenticare l’ingresso nel “club” di vari altri Stati nel recente e meno recente passato.
Indica i rischi di “incidenti” per errore, e le possibili strade da seguire per mobilitarsi:
“La gente deve rendersi conto che le armi nucleari devono venire arrestate prima che vengano usate, perché dopo, è troppo tardi”.

Leggi l’articolo nel sito di “Buone Nuove”

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L’elenco delle favole premiate, menzionate e segnalate

25 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Finalmente online l’elenco dei testi premiati e segnalati del Premio letterario “Una favola per la pace”.

SEZIONE ADULTI

  • Prima Classificata: La notte dei sogni d’amore - di Valeria Celli da Bologna
  • Seconda Classificata: Notte misteriosa in cucina - di Renata Franca Flamigni da Forlì
  • Terza Classificata: E il Grande Architetto chiamò Eclissi… - di Nedo Corsini da Lizzano Pistoiese
  • Premio speciale: La mia pace - di Mirko Facchinetti da Albino

Favole Menzionate:

  • Alfio Totano di Roberto Masini da Rimini
  • Le ragioni della Foresta di Pietro Bivona dal carcere di Sollicciano, Firenze
  • Vieni a giocare con me! di Giovanna Vespignani da Bagnacavallo

Favole Segnalate

  • Yuri Romanus Pontifex Maximus di Luciano Acidini da Bagno a Ripoli
  • Sulla Pace: Rime a tegola di Valeria Gonnella da Orentano
  • I fiori dell’arcobaleno di Caterina Branda da Torino
  • La favola di Tic e di Tac di Luigi Lanosi Giada da Faenza
  • Romenhoff di Massimo Begnoni da Povegliano Veneto
  • Due angelici pargoletti di Giovanni Fossà da Ravenna
  • Senza titolo di Francesca Gennari da Mirandola
  • La strega Zizzania di Mara Rossi da Granaglione
  • De humanis condicionibus di Lucia Cappucci da Rossetta di Fusignano

UNA FAVOLA GIOVANE - sezione Scuole Primarie

  • Prima Classificata: Un sogno… non solo mio! - di Claudia di Marco da Mazara del Vallo
    Scuola Primaria Statale “G.B. Quinci” IV Circolo Didattico, Mazara del Vallo
  • Seconda Classificata: Cristallina e l’anello magico - di Letizia Brici, Erika Giani, Beatrice Pranzetti
    Scuola Primaria “Lagomaggio”, 1° Circolo Didattico di Rimini
  • Terza Classificata: Pappagalli - del Laboratorio di scrittura creativa della Classe I
    Scuola primaria di Oleggio
  • Menzione speciale: La pace - di Merdia Hakim, da Erbil, Iraq

Favole Menzionate

  • Costruire la pace - del Laboratorio della Classe V, Scuola primaria “G.Modugno”, Monopoli
  • Dramuth, l’anello dell’equilibrio - di Mattia Cabano, Scuola primaria paritaria “Calasanzio”, Genova

UNA FAVOLA GIOVANE - sezione Scuole Secondarie di primo grado

  • Prima Classificata: Il rovo premuroso - di Claudia Mariella da S.Vito
    Scuola Secondaria di Primo Grado “A.Volta”, Taranto
  • Seconda classificata ex aequo: Il liberatore di Fabulandia - di Maria Giuseppina Bovenzi
    Scuola Secondaria di Primo Grado di via Settembrini, Cancello Arnone
  • Dentro il diario - di Fabiola Fochi
    Scuola Secondaria di Primo Grado “Garibaldi-Matteucci”, Campi Bisenzio
  • Terza classificata: La Favola della pace - di Matteo Valerio Celotti
    Scuola Secondaria di Primo Grado “S.Umiltà”, Faenza
  • Menzione speciale: Il fiore più bello - di Alba Donigaglia
    Scuola Secondaria di Primo Grado “S.Umiltà”, Faenza

Favole Menzionate

  • La banda di musicisti - di Alba Bruno, Istituto Comprensivo “A. Baccelli”, Tivoli
  • La rosa della pace - di Cristina Lauciello, Scuola Secondaria di Primo Grado “L.Graziani”, Bagnacavallo
  • I due amici e l’orso - di Serena Tardiota, Scuola paritaria “S. M. Ausiliatrice”, Taranto
  • Una favola sulla pace - di Mauro Pinardi, Scuola Secondaria di Primo Grado “F. D’Este”, Massa Lombarda

UNA FAVOLA GIOVANE - sezione Scuole Secondarie

  • Prima Classificata: Spazio infinito - di Elisa Masinara da Casalecchio di Reno
    Liceo “Leonardo da Vinci”, Casalecchio di Reno
  • Seconda Classificata: Il regno perduto - di Francesco Gurini
    Istituto tecnico Commerciale “D. Bramante”, Pesaro
  • Terza classificata: Frammenti di cuore - di Elena Bartolini
    Liceo classico “Dante Alighieri”, Ravenna
  • Menzione speciale: Gli uccelli di Stinfalo - di Elia Tazzari
    Liceo classico “Dante Alighieri”, Ravenna
  • Opere Menzionate: Irene - di Irene Resca
    Liceo-ginnasio “G.Cevolani”, Cento

PREMI SPECIALI

  • Premio Speciale Città di Lugo: Sarà contento Omero - di Marcello De Luigi da Mantova
  • PREMIO SPECIALE città di Fusignano: L’albero di Selim - di Luisa Turchi da Rimini
  • PREMIO SPECIALE CITTà DI Campi Bisenzio “NESSUNO SI SENTA ESCLUSO”: Io, Martin -Pagina di diario- - di Martin Lazri dal carcere di Sollicciano, Firenze
  • PREMIO SPECIALE città di PINETO: Pantafavola per la Pace - di Lucia Baldini da Lugo
  • PREMIO SPECIALE ASSOKIPLING “UN SORRISO PER LA PACE”: Il cannone Gedeone - di Riccardo Baruzzi da RavennaMenzioni
    • Quanto giovani erano i ragazzi di Luigi Vitale dal carcere di Sollicciano, Firenze
    • Amore e Pace di Lorenzo Madonna dal carcere di Forlì
    • Magie d’amore delle Prime Classi della Scuola Primaria di Valverde
  • PREMIO SPECIALE ANIOC: La parola pace di Anna Colombo da Lomazzo
  • PREMIO SPECIALE “HERA”: La pace di Manuel Sabellico dal carcere di Forlì

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La notte dei sogni d’amore

24 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Prima Classificata sezione adulti

Con dolcezza e fantasia, l’autrice ci conduce in un mondo di fiaba, dove elementi classici e personaggi originali si fondono con eleganza, trasmettendo ad adulti e bambini un messaggio positivo e pieno di speranza nel futuro.

La notte dei sogni d’amore

di Valeria Celli da Bologna

C’era una volta, in un mondo lontano, lontano, un grande castello. Il castello si ergeva in cima ad una montagna così alta da perdersi nel cielo e le torri della fortezza svettavano in mezzo alle
nuvole, che sembravano nasconderle e accarezzarle insieme. Il castello apparteneva al Tempo, sì proprio al Tempo che è temuto da ogni cosa e da ogni essere vivente perché tutto sa distruggere e far dimenticare.
Tempo era proprio una strana persona: a volte correva così in fretta da sorprendere tutti, a volte si muoveva adagio, adagio… così almeno sembrava, perché, in realtà, Tempo eseguiva il suo lavoro in modo meticoloso e preciso: era lui che divideva le ore di buio e di luce sulla terra, lui che imponeva lo svolgersi delle stagioni, lui che scandiva la vita di ogni cosa. Aveva diverse amicizie e riusciva ad andar d’accordo con tutti: chi lo trattava male, poi lo rimpiangeva e cercava di recuperarlo, chi lo trattava bene provava per lui gratitudine. Era amico di Morte e anche di Vita, eppure tra loro queste mal si sopportavano, tanto che quando una entrava, subito l’altra usciva…. Era amico del giovane quanto del vecchio: precedeva sempre il primo per spronarlo con le ambizioni, seguiva invece il secondo per sorreggerlo con i ricordi…
Insomma tutti lo conoscevano… c’era chi non conosceva Amicizia, Amore, oppure Odio e Antipatia, ma tutti -proprio tutti- conoscevano Tempo e ne avevano sempre un po’ soggezione.
Tempo spesso sentiva quella stanchezza che solo la noia può dare, così, per distrarsi, organizzava qualche festa nel suo grande castello. Invitava tutti quelli che lui conosceva bene perché, nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a far dimenticare: invitava gli uomini più famosi, i poeti, gli artisti, i condottieri, di cui Morte aveva preso il corpo ma non la luce che li illuminava, poi gli eroi dei romanzi e le antiche divinità rese immortali dagli artisti, invitava anche tutti i sentimenti che erano, dal giorno della creazione, sempre presenti sulla terra e lo avevano accompagnato nel suo lungo percorso. Quella volta Tempo decise di organizzare una festa splendida . I suoi servitori più vecchi, Millennio e Secolo, prepararono un sontuoso banchetto, quelli più giovani, Minuto e Secondo, pulirono a specchio ogni stanza e illuminarono tutto il castello. Iniziarono ad arrivare gli invitati vestiti con grande eleganza: pepli greci e toghe romane si mescolavano ad abiti lunghi e smoking bianchi e neri, e tutti gli ospiti, con cortesia, si facevano reciprocamente i complimenti, lieti per il gradito invito. Le danze iniziarono e Tempo ballò con la sua ospite preferita, Armonia. L’aveva sempre amata da quando lui guidava la terra, la trovava eccezionale sia per la grazia che aveva nel porgersi, sia per l’equilibrio delle sue parole. Pensò che forse organizzava quelle feste solo per rivedere lei: non la incontrava ultimamente in nessun luogo…
“Da quanto tempo non stiamo insieme, Armonia..” le disse Tempo mentre ballavano, ma, prima che lei potesse rispondergli con la sua voce melodiosa, la serenità della festa venne interrotta dall’arrivo di Pace che entrò piangendo nel salone, spettinata, confusa, sporca, con i vestiti laceri…
“Perché piangi?” le chiese con affetto Tempo. “Per la commozione, mio signore -rispose Pace- questo è l’unico invito di questi ultimi anni, apparentemente tutti mi cercano e mi vogliono, ma quando io, con fatica, giungo da lontano, nessuno più mi apre la porta e mi fa entrare, tutti sono sordi alla mia voce. ..Piango di commozione perché pensavo che sarei stata rifiutata anche qui!”
Tempo fece una leggera carezza a Pace poi l’affidò ai suoi servitori perché l’accompagnassero nelle stanze degli ospiti più graditi in modo che lei si ristorasse almeno un poco. Intanto altri ospiti arrivarono, ma Tempo non fece loro caso, impegnato com’era a parlare di Pace con Armonia, in un angolo della sala.
A metà festa Pace riapparve nel salone ed era talmente bella da essere quasi irriconoscibile. I capelli fluttuavano lunghi e morbidi nell’aria, il suo volto era giovane, rassicurante, sorridente, indossava un abito fatto con i colori dell’arcobaleno che terminava con una lunga stola sulle spalle. Da lei emanava un profumo tenue, dolcissimo, che accarezzava le persone infondendo in loro un senso di serena fiducia. Tutti al suo passaggio sorridevano. Fu in quel momento che Futuro, il più giovane figlio di Tempo, s’ innamorò perdutamente di lei, senza saper neanche chi fosse. Fu un vero e proprio colpo di fulmine. Fece qualche passo per avvicinarsi a Pace, ma Odio subito lo fermò e ridendo gli disse: “Dove credi di andare? Non vedi che è la stracciona di prima? Vuoi farti deridere da tutti i presenti?”
“Non mi importa!” ribattè Futuro, che prima di allora non si era mai innamorato e non riusciva a descrivere, neppure a se stesso, quel che provava. Aveva un unico desiderio: vivere per sempre con Pace accanto. Ma se lui non si era mai innamorato, molte donne si erano, invece, innamorate di lui ed Energia e Solidarietà, gelose , lo misero in guardia: “Attento Futuro, anche i tuoi fratelli maggiori, Presente e Passato, hanno cercato di conquistare Pace, ma lei è sempre sfuggita a tutti, Pace è difficile da trattenere… Osserva come la guardano da lontano.. .eppure la evitano.. .li ha delusi.” La paura di fare un torto ai fratelli trattenne Futuro che non si avvicinò più per tutta la sera a Pace. La festa finì e uno dopo l’altro gli ospiti se ne andarono,
Tempo continuò a fare il suo lavoro. Tutto sembrava procedere come prima, ma Futuro era sempre
più triste. Era chiuso in se stesso, buio e malinconico, e quando, svolgendo il compito che il padre
gli aveva assegnato, vibrava davanti agli uomini, non portava più la luce di una ragione per vivere,
ma solo una grigia tristezza. Un giorno Tempo, il suo anziano padre, gli chiese il motivo di tanta infelicità. “Non capiresti, padre”
“Tu sai che io capisco la ragione di ogni cosa, ti prego abbi fiducia, parlami”
Allora il giovane piangendo aprì il suo cuore al padre e gli raccontò il suo amore impossibile, il suo
sogno di vivere insieme a Pace per sempre. Tempo sospirò, pensando al suo sogno di vivere con Armonia (che era in realtà sua sposa e madre dei suoi figli, ma che, delusa dal mondo, viveva appartata), poi rispose a Futuro: “Lasciami pensare…” Silenzioso se ne andò lasciando solo il giovane, poi telefonò ad Armonia cui raccontò il dolore del figlio. Dopo aver parlato con la dolce sposa, tornò da Futuro sorridendo e gli disse. “Come dono di nozze Armonia ti regala l’isola della Libertà, in mezzo sorge il castello dell’Uguaglianza, porta Pace in quel luogo e vedrai che sarete felici. Naturalmente devi convincerla a credere in te. Ma questo è un compito solo tuo.” Futuro ringraziò il padre e cercò ovunque Pace girando intorno al mondo; chiese di lei a mille uomini, alcuni importanti altri meno…tutti l’avevano in mente ma nessuno sapeva dirgli esattamente dove trovarla… Futuro si sentiva sempre più stanco. Un giorno, all’improvviso, il cellulare di Futuro suonò: la musica vibrava di note melodiose e prima ancora di rispondere Futuro sapeva che l’aveva chiamato Armonia. “Futuro, non cercare inutilmente: aspetta la notte e poi visita i sogni dei bambini del Mediooriente, in molti di quei sogni Pace è presente per far loro una carezza e farli dormire tranquilli” Così quando la notte con la sua ala scura copri il giorno degli uomini, Futuro percorse i sogni di quei bambini e osservò la dolce Pace cullare quei piccoli cuori affaticati dalle tensioni del giorno. Allora l’abbracciò e le disse con dolcezza: “Ti ho ritrovata, vieni, ti prego, con me” Pace sorrise e l’abbracciò a sua volta e in quel momento, proprio durante quell’abbraccio, i sogni si illuminarono dei colori dell’arcobaleno, sorpresa Pace prese per mano Futuro e gli disse:”Verrò con te ovunque tu vorrai, ma per stanotte, per una notte sola, se mi ami, seguimi” Futuro non disse di no e non ripetè così l’errore fatto dai suoi fratelli più vecchi. Lui seguì Pace e insieme illuminarono i sogni buoni di ogni bambino, di quello che soffriva la fame, di chi voleva studiare e non poteva, di chi voleva l’accordo in famiglia, di chi voleva giocare col compagno che aveva un altro colore di pelle dal suo… Quella fu una notte di luce, perché fu una notte di sogni d’amore. In quel lungo giro la stola di Pace circondò la terra con i mille colori dell’arcobaleno. Pace si accorse di averla perduta solo quando giunsero nel castello dell’isola, ma poco le importava. Lei e Futuro si erano incontrati dentro i sogni, dentro i sogni dei bambini che, come tutti sanno, sono gli unici sogni che preparano la realtà, che anticipano il mondo che verrà, e Pace sapeva che l’attendeva una vita felice.
Pace e Futuro si sposarono e vissero insieme felici e contenti. Pace fu accettata da tutti e Futuro non pianse mai più, né si rattristò quando lo specchio gli mostrò la sua immagine sempre più simile prima al volto del fratello Presente, poi a quello del fratello più anziano, Passato. Non gli importò di invecchiare perché sapeva che suo padre Tempo doveva continuare a fare il suo lavoro e perché trascorreva la sua vita vicino alla donna che amava, e, grazie a questo, continuava a vedere fiori sbocciare ovunque, sia sulla terra che dentro al cuore degli uomini, perché nel mondo era sempre rimasto vivo il ricordo di un sogno infantile con i colori dell’arcobaleno in una notte di luce.

Stretta è la foglia, larga la via.
Voi dite la vostra, io ho detto la mia..
E se voi bambini a quanto ho detto non credete,
dormite sereni e Pace sognerete….

Categorie: I testi delle favole, III edizione 2006, Una favola per la Pace | Tags: | Nessun Commento »