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Armi nucleari. Fatti certi e miti da sfatare.

21 marzo 2009 Pubblicato da roberto

Dieci fatti certi sulle armi nucleari

  1. Ci sono ancora 26000 testate nucleari nel mondo, abbastanza da distruggere la civiltà più volte e distruggere la maggior parte della vita sulla terra. Le armi nucleari rendono l’umanità una specie a rischio.
  2. Più del 95% di tutte le armi nucleari sono negli arsenali negli USA e in Russia.
  3. L’arma nucleare media negli arsenali USA è approssimativamente 8 volte più potente della bomba nucleare che distrusse Hiroshima, uccidendo subito circa 90000 persone.
  4. Attualmente ci sono nove paesi che hanno armi nucleari (US, Russia, UK, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord).
  5. Nel 1970 il trattato di Non Proliferazione, ratificato da quasi tutti i paesi del mondo, richiede agli stati nucleari di intraprendere negoziati di disarmo nucleare in buona fede.
  6. Gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente dal Trattato Anti Missili Balistici nel 2002 per perseguire il riarmo con missili per la difesa e lo spazio. Il ritiro degli US dal trattato ha fatto sì che sia la Russia sia la Cina incrementassero le loro capacità nucleari.
  7. Ci sono fino a 2000000 chilogrammi di uranio altamente arricchito (HEU) in depositi globali, e per un’arma nucleare ne servono solo 15-24 chilogrammi. Ci sono 28 paesi che hanno abbastanza HEU per una bomba e 12 paesi che ne hanno per almeno 20 bombe.
  8. Il plutonio creato nei reattori nucleari è un altra fonte di materiale per le bombe. Servono solo 5 chilogrammi di plutonio per creare un’arma nucleare. Ci sono ora circa 500000 chilogrammi di plutonio separato in depositi globali. I depositi di plutonio continuano ad aumentare per via del ritrattamento dei combustibili “esauriti” civili.
  9. La Revisione della Posizione Nucleare del 2001 si occupa di sviluppare piani contingenti per l’uso di armi nucleari contro sette paesi: Iraq, Iran, Siria, Libia, Corea del Nord, Russia e Cina.
  10. Il Trattato sulle Riduzioni dell’Offensiva Strategica (SORT) fra US e Russia chiede ai due paesi di ridurre le loro testate strategiche utilizzate fra 1700 e 2200 entro il 31 dicembre 2012. In tale data il trattato termina e ognuna delle due parti può riutilizzare tutte le testate nucleari che vuole. Molte delle testate nucleari disattivate non sono state smantellate, ma messe in magazzino, dove potrebbero essere rubate da criminali o gruppi terroristici.

Dieci “miti” da sfatare riguardo le armi nucleari

  1. Le armi nucleari si sono rese necessarie per sconfiggere il Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Questa non è l’opinione di molte figure militari che hanno guidato gli USA durante la guerra. Il Generale Dwight Eisenhower, Comandante Supremo degli Alleati in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale poi presidente USA scrisse, “Pensavo che il nostro paese dovesse evitare di scioccare l’opinione pubblica mondiale usando un’arma il cui impiego, pensavo, non era più imperativo come misura per salvare vite Americane. Credevo che il Giappone, in quel preciso momento, cercasse un modo per arrendersi con la minima perdita di immagine…”
  2. Le armi nucleari hanno evitato una Guerra fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Ci sono stati molti conflitti mortali e guerre “delega” portate avanti dalle superpotenze in Asia, Africa e America Latina. La guerra del Vietnam, che è costata molti milioni di vite, ne è un esempio eminente. Queste guerre hanno reso la supposta pace nucleare sanguinaria e mortale.
  3. Le minacce nucleari sono scomparse dopo la fine della Guerra Fredda. Nel periodo successivo alla Guerra Fredda, una serie di nuove minacce nucleari è emersa. Fra queste i seguenti pericoli:
    Più possibilità che le armi nucleari cadano nelle mani di terroristi intenzionati ad usarle;
    Politiche dei governi US per rendere le armi nucleari più piccole e più utilizzabili; Uso di armi nucleari per errore in particolare a causa delle decadenti infrastrutture Russe; e
    Diffusione di armi nucleari in altri stati che potrebbero considerarle un “equalizzatore” contro uno stato più potente.
  4. Gli Stati Uniti hanno bisogno di armi nucleari per la propria sicurezza nazionale. La sicurezza nazionale USA sarebbe molto migliore se gli Usa avessero un ruolo guida nell’eliminazione delle armi nucleari nel mondo. Le armi nucleari sono le uniche armi che potrebbero veramente distruggere gli Stati Uniti, e la loro esistenza e proliferazione minacciano la sicurezza USA.
  5. Le armi nucleari rendono le nazioni più sicure. Minacciando la rappresaglia di massa, la tesi è che le armi nucleari prevengano un aggressore dall’iniziare una guerra. Ci sono molti modi, però, in cui il deterrente può fallire, comprese le incomprensioni, una errata comunicazione, leader irrazionali, errori di calcolo e incidenti.
  6. Nessun leader è così pazzo da usare veramente le armi nucleari. I leader USA, considerati da alcuni altamente razionali, hanno usato le armi nucleari in guerra, contro Hiroshima e Nagasaki. Minacce di attacchi nucleari dall’India e dal Pakistan sono un esempio di limite che potrebbe portare alla guerra nucleare. Globalmente e storicamente, i leader hanno fatto del loro meglio per dimostrare che userebbero le armi nucleari.
  7. Le armi nucleari sono un metodo di difesa con costi efficienti. Il costo della ricerca, sviluppo e mantenimento delle armi nucleari USA ha superato i 7,5 miliardi di dollari.
  8. Le armi nucleari sono ben protette e ci sono poche possibilità che un terrorista possa metterci le mani sopra. Nel periodo successivo alla guerra fredda, la capacità dei russi di proteggere le forze nucleari è diminuita drasticamente. Per di più, un colpo di stato in un paese con armi nucleari, come il Pakistan, potrebbe portare a un governo che vuole fornire armi nucleari ai terroristi.
  9. Gli Stati Uniti stanno lavorando per adempiere ai propri obblighi di disarmo. Per 4 decenni gli Stati Uniti si sono rivelati inadempienti ai loro obblighi secondo l’articolo VI del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che prevedeva negoziati in buona fede per raggiungere il disarmo nucleare. Gli Stati Uniti non hanno ratificato il Trattato di Interdizione dei Test e si sono ritirati dal Trattato Anti Missici Balistici.
  10. Le armi nucleari sono necessarie per lottare contro la minaccia del terrorismo e degli “stati rossi”. La minaccia della forza nucleare non può agire come deterrente contro i terroristi perché questi non hanno un territorio su cui rivalersi. Se i leader di uno stato rosso non usano il calcolo razionale riguardo alle proprie perdite in caso di rivalsa, il deterrente fallirebbe.

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Immagini

17 marzo 2009 Pubblicato da admin

Una favola per la Pace

Progetto Iraq

Mayors for Peace e Mostra Itinerante

Altre Iniziative


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Scampato attentato a Baghdad (ma una giornalista uccisa a Mosul)

5 maggio 2008 Pubblicato da roberto

E’ notizia di ieri. Due spot di cronaca dall’Iraq che hanno “bucato il web” oltre che gli schermi TV.
Un attentato fallito a Baghdad in cui è stata coinvolta (per fortuna senza conseguenze) Hero Ibrahim Ahmed, la moglie del presidente iracheno Talabani. E l’uccisione a sangue freddo - e l’altroieri si celebrava proprio la “Giornata mondiale della Libertà di Stampa” - di una giornalista irachena a Mosul.
Due episodi apparentemente legati solo dalla tempistica e dal territorio - l’Iraq dalla guerra infinita e paese segnalato come il più pericoloso per lo svolgimento dell’attività di giornalista. Ma con un filo conduttore più nascosto, quello della cultura e dell’informazione in un Paese che vuole comunque risollevarsi.
Hero Ibrahim Talabani si recava al Teatro Nazionale per partecipare ad una cerimonia culturale. La vittima di Mosul, Serwa Abdul-Wahab, faceva il suo mestiere di cronista degli avvenimenti. Attività “normali” nei nostri Paesi ma non ancora laggiù, e ancora per quanto?

Noi possiamo solo tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di Hero. Nostra interlocutrice nei rapporti che si son fatti più stretti dopo il nostro ultimo viaggio nel Kurdistan iracheno. E con la speranza che i semi piantati insieme possano presto fiorire.

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Tornare in Kurdistan due anni dopo

31 marzo 2008 Pubblicato da roberto

`Maybe. Forse. La parola che più è ricorsa nel viaggio in Kurdistan. Fin da Vienna. Inseguendo l’Air-Station Manager della Mesopotamia Air, l’ultima arrivata nel nuovo segmento di mercato delle compagnie civili irachene. Poi, di volta in volta, i “problemi tecnici” dell’Austrian Airlines fino ad Istambul, le attese mattutine nell’hall dell’Alborz Hotel al Khasraw Khal Bridge a Sulaimaniya, i cambiamenti repentini di programma.`

Ecco l’inizio di un lungo racconto. E’ il reportage di Andrea Misuri, di ritorno dall’ultima «Mission» dei “Mayors for Peace” nella terra che già fu nostra destinazione nel 2006.

E’ la testimonianza di un cammino che, anche attraverso l’impegno di IPB-Italia, è proseguito in questi due anni trascorsi. E che si sta concretizzando attraverso progetti e … amicizia.

E’ da leggere e da gustare, anche per le numerose immagini che lo accompagnano.

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OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Maybe. Forse. La parola che più è ricorsa nel viaggio in Kurdistan. Fin da Vienna. Inseguendo l’Air-Station Manager della Mesopotamia Air, l’ultima arrivata nel nuovo segmento di mercato delle compagnie civili irachene. Poi, di volta in volta, i “problemi tecnici” dell’Austrian Airlines fino ad Istambul, le attese mattutine nell’hall dell’Alborz Hotel al Khasraw Khal Bridge a Sulaimaniya, i cambiamenti repentini di programma.

La Raparin Hall è intitolata alla Rivolta del marzo 1991 che liberò la città dalla lunga oppressione. Situata all’interno dell’Università di Sulaimaniya, di fronte alla Biblioteca Centrale, si confonde tra gli edifici ad un piano dei ventidue college sparsi tra i viali. Gli studenti, libri e dispense sotto il braccio, si soffermano a parlare a piccoli gruppi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Sono le 10,00 del 17 marzo e qui ha inizio il convegno Dal Genocidio alla cultura di Pace. Sono trascorsi vent’anni dalla strage di Halabja. E’ il momento di ragionare delle conseguenze che quei tragici eventi hanno prodotto nella coscienza di un popolo e come si possa ricercare il diritto alla serenità perduta.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Marzo è la stagione dei narcisi, che ragazze nei tradizionali abiti curdi dai vivaci colori monocromatici distribuiscono all’ingresso della sala insieme a caramelle e a piccoli dolci.

Presenti i rappresentanti istituzionali del Kurdistan iracheno: i Presidenti del Governo e del Parlamento Regionale, ministri e deputati, sindaci, così come esponenti dei partiti politici tornati alla luce del sole dopo gli anni di clandestinità. La sig.ra Hero Ibrahim Ahmed Talabani, i sindaci Khder Kareem di Halabja, Nawzad Jalal Muhamad di Chamchamal, Araz Hawez Sadq di Koya, Azad Mamand di Taqtaq, Aras Abid Akram dell’Halabja Chemical Victims Society, il professore Azad Hama Shekhani dall’italiano perfetto per gli studi nelle nostre università.
L’intervento di Othman Rashid Aziz direttore delle municipalità di Sulaimaniya: “When this conference was held in Florence city in Italy, this year Kurdistan suggested to holding this conference in Halabja city of Sulaimaniya. Indeed, this suggestion was accepted to be appointed at the date of 16-March, As World Day as a symbol for standing against using the Chemical Weapon”. A seguito del convegno di Mayors for Peace del novembre scorso a Firenze, da qui parte la proposta del 16 marzo Giornata Mondiale contro l’uso delle armi chimiche.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Fulgida indossa l’abito ricevuto in dono dalla sig.ra Talabani. Il suo saluto in curdo, arabo, inglese e italiano trasmette un messaggio di comunanza.

Ogni volta che un bambino è ucciso, al grido disperato di una madre si unisce quello di tutte le madri della Terra. I bambini, i figli di tutte le madri, sono il nostro comune futuro. La trasversalità dell’amore e del dolore non hanno confini”.

Parole che hanno fermato l’attenzione dei presenti, dirette al loro cuore.

L’intervento di Alberto. Parla di Pace e del progetto di peace education portato avanti nel convegno di Pianosa dall’International Peace Bureau e dai Comuni aderenti a Mayors for Peace.

Le biglie d’acciaio di Pol lasciate cadere nel contenitore sul palco ricordano, con il loro metallico rimbombo, le atomiche presenti nei depositi di tanti Paesi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Le proposte italiane per stimolare la costruzione della pace nella coscienza della società civile passano anche attraverso nuove politiche scolastiche. L’adozione di un testo comune alle scuole di più Paesi, in quanto “non si conoscono le tragedie dei popoli perché non se ne conosce la letteratura”. Lo ha detto Attilio, vice sindaco di Pozzallo, Comune dei Monti Eblei che ha dato i natali, sono stati da poco ricordati i cent’anni, a quel precursore della fratellanza tra i popoli del Mediterraneo che fu Giorgio La Pira.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Le parole di Dante, assessore alla Pace e ai Gemellaggi di Campi Bisenzio e quelle di Eleonora, una donna che in questo Comune è nota per i molteplici impegni nell’associazionismo e nel campo dei diritti umani nel mondo.

Intanto, Jessica informa i giornalisti curdi televisivi e della carta stampata delle attività di I.P.B. ed invia in Italia comunicati stampa sull’andamento del convegno. La sua costante disponibilità e un sorriso smagliante contribuiscono a facilitarci i contatti.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         L’incontro con Rizgar Mohammad Ameen, uno dei tre giudici, lui curdo, gli altri sunnita e sciita, che hanno giudicato Saddam Hussein. Otto sedute al termine delle quali è stato condannato per la strage di centoventi sciiti.

Il portamento eretto, quasi ieratico, Rizgar, completo blu, la cravatta con disegni bianchi su fondo blu, si muove con naturale, felpata eleganza. Alto, magro, bianchi capelli corti, baffi brizzolati, cinquant’anni da poco compiuti. Alle nostre domande su quest’esperienza professionale ed umana risponde che, come per qualsiasi altro processo, il suo impegno è stato tenere distinti nel giudizio la propria emotività e la pressione ambientale dall’analisi oggettiva dei fatti.

E’ tornato a svolgere le funzioni di giudice a Sulaimaniya.

Al poeta Salm è intitolata la principale strada della periferia ovest di Sulaimaniya, intasata di traffico sul finire del mattino.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Dietro un cancello guardato da uomini in armi, una bassa costruzione rettangolare è la sede del Puk, il Partito unitario curdo. Siamo ricevuti dal responsabile dell’ufficio politico, al quale Eleonora dona la sua sciarpa multicolore della Pace. Riceviamo un attestato onorario del Partito, con il simbolo del fiore nazionale, un narciso dai bianchi petali.

Il 18 marzo siamo tornati ad Halabja. All’ingresso della città il monumento dedicato alle vittime e distrutto due anni fa, presente la delegazione italiana, è ancora ingabbiato nei ponteggi.

Nel cimitero s’inseguono allineate le tombe senza morti, che furono invece raccolti in fosse comuni. Una lapide per famiglia, tutte uguali, con 5.000 nomi. I giovani di Halabja hanno presentato una rappresentazione teatrale di forte impatto emotivo.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         All’ora del tramonto siamo davanti alla statua che ricorda la strage, una donna con le braccia protese verso il cielo, e ai cui piedi sono state accese candele e disposte scenograficamente delle mele a ricordare l’odore dolciastro, proprio delle mele, dei gas nervini. I ballerini dell’Accademia delle Belle Arti recitano Non dobbiamo dimenticare Halabja. Seduti accanto alle tombe, mentre le ombre della sera arrivano a stendersi tra le lapidi, ogni marmo illuminato da una candela, altri studenti iscritti al corso di pittura disegnano e dipingono il ricordo. Mescolandosi infine, ballerini e pittori, gli uni in una danza al rallentatore, gli altri in piedi, immobili, i disegni tra le mani. L’altoparlante diffonde note di dolore che si perdono nel nulla che sfuma oltre le tombe, nella piatta campagna d’attorno.

Ho trascritto, facendomi aiutare a tradurli dalla brochure, i nomi del regista Warzer Hama Salim e dell’autore delle musiche Farhad Faik eseguite dal Gruppo Musicale dell’Accademia di Halabja. Per notificare a chi legge e ringraziare così quei ragazzi.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Ciamciamal si trova sulla strada che collega Sulaimaniya a Kirkuk. Una striscia d’asfalto che corre diritta attraverso la pianura, rari villaggi s’alternano ai posti di blocco dei peshmerga che si riconoscono da lontano per le lunghe colonne d’auto e camion. I suv della sicurezza azionano luci, sirene e altoparlanti e zigzagano tra blocchi di cemento e spunzoni metallici portandoci rapidamente oltre. Lungo la strada gli scavi archeologici restituiscono i resti di un’antica chiesa cristiana.

Kirkuk, enclave rivendicata dalla forte minoranza turcomanna, un sottosuolo con grandi riserve di petrolio, è a poche decine di chilometri. Da lì ne mancano centocinquanta per arrivare a Baghdad.

Ciamciamal è un insediamento sviluppatosi nella seconda metà degli anni ’80 e raccoglie i profughi in fuga dall’Anfal del governo iracheno. Da qui l’inferno di Baghdad appare ancora lontano.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Certamente la vita quotidiana non è facile, ma i segnali che provengono dai giovani incontrati sono pieni di speranza. Il gemellaggio di Halabja con Marzabotto ha stimolato il desiderio di confrontarsi con realtà diverse. La nostra presenza è stata occasione di riflessione e di ricerca del nuovo. Dopo la visita in Municipio, circondati dagli uomini della sicurezza, abbiamo così visitato i luoghi di ricostruzione della democrazia curda, la sede di Kurdistan Tv, la Casa della Cultura dell’infanzia, il Centro culturale giovanile e quello delle donne, quest’ultime davvero le colonne portanti, ancora troppo invisibili, della nuova società. A Ciamciamal un gruppo di studenti stampa un giornale. Charmu, dal nome di una località vicina dove sorge un villaggio neolitico, il più antico insediamento dell’intero Iraq, riportato in superficie dagli Inglesi durante l’occupazione nei primi decenni del secolo scorso. Mostrano orgogliosi la copia di Charmu con l’articolo che parla del patto d’amicizia con Campi Bisenzio.

L’invito della signora Hero Talabani è stato una sorpresa quanto mai gradita. L’opportunità di proseguire quanto iniziato in occasione del suo viaggio in Italia ospite del sindaco Leonardo Domenici e del Ministro della Salute Livia Turco.

Arriviamo alla residenza dopo il tramonto. Dalla collina, le luci di Sulaimaniya s’accendono in successione, a segnare i contorni della metropoli. Sulla porta ci viene incontro e salutiamo calorosamente Hatif Yashar, che abbiamo conosciuto a Firenze. Abbracciamo, sorridente come sempre, Dana Hussein Qadir di “Save the Children”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         La signora Talabani c’introduce in un salone accogliente, soffuso delle sfumature verdi pastello dei tendaggi, delle pareti, dei tappeti. Mazzi di fiori dove predominano i rossi, i gialli, gli arancioni composti con sapienza sui tavoli, insieme a vassoi di banane, fragole, kiwi, uva e arance. Si scambiano doni e si parla dei progetti in campo, facendo il punto e riprogrammando il lavoro futuro.

La cena con i tanti piatti della tradizione curda. Assaggiamo tutto con curiosità, in particolare sui vassoi ovali al centro della tavola, i salmoni provenienti dal Lago di Dokan, una località turistica ad ovest di Sulaimaniya, sulla strada per Erbil.

In più luoghi, dunque, abbiamo avuto occasione di affinare la nostra conoscenza della cucina curda. Il Nafoora restaurant, una grande sala su due livelli, al centro enormi tegami di rame finemente lavorati, ricolmi di riso con l’uvetta e una fila di bianche zuppiere con pomodori, fagiolini e involtini di melanzane ripieni di riso. D’attorno s’accalcano gli avventori. Si mangia a self service e dopo ci si serve il tè nei tipici bicchieri turchi.

Al ristorante al pianterreno dell’Hotel Alborz, crauti e cetrioli tagliati sottilmente, fagioli al pomodoro e melanzane cucinate in maniere diverse.

All’Abu Sana ambiente ovattato, luci soffuse, vino della Cuvee François Dulac e birra Heineken. Ricordo un ottimo tapulà: cuscus, aglio, cipolla e prezzemolo tritato.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Concordemente, il miglior kebab lo abbiamo mangiato al Sirwan, alle porte di Ciamciamal. Dalle ampie finestre si vedono i camion sparire nella luce abbacinante e nella polvere della strada per Sulaimaniya. Kika è kebab di pollo marinato nel limone. Croccante e davvero gustoso, i piccoli pezzi di carne sono portati caldi in tavola, infilzati in lunghi spiedi. Splendide anche le salsicce, condite con grasso bianco e aglio. I sottilissimi pani arabi qui sono particolarmente grandi, e appena arrivano in tavola i commensali, con senso di condivisione, s’affrettano a strapparne ciascuno una parte.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Il centro di Sulaimaniya è sempre affollato. Si passa davanti alla pizzeria La perla e alla barberia Milano, retaggi di soggiorni nel nostro Paese. Prima di scendere qualche scalino ed entrare nella parte al coperto più antica del secolare mercato, ci si sofferma davanti alla statua di Ibrahim Pasha fondatore della città e ad un grande cartellone che raffigura Shaikh Mahmud Barzingi autoproclamatosi re del Kurdistan nel 1922. Soltanto i bombardamenti della R.A.F. su Sulaimaniya ebbero ragione dei sogni d’indipendenza di questa regione. Qui un mausoleo ricorda Shaikh Mahmud che fu re per un solo anno.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         In due anni, dalla visita del 2006 dell’Ufficio italiano di International Peace Bureau, molte iniziative sono state messe in cantiere. Ci siamo impegnati con idee e progetti che abbiamo verificato richiedere tempo e fatica. Non sempre ci siamo riusciti. A volte abbiamo cambiato strada, perché la più breve non era percorribile. Sono tante le cose che si stanno mettendo in moto nelle relazioni tra le persone e le istituzioni dei nostri Paesi. A questo ho pensato quando, al momento della partenza, nell’hall dell’hotel ci hanno consegnato uno scatolone di cartone da parte della signora Talabani. Una promessa che la First Lady aveva preso a Firenze con Torello Latini proprietario dell’omonima trattoria, un “cult” per gli amanti della cucina toscana. Le era piaciuta l’idea del Latini di voler esporre nel locale i quadri degli studenti delle scuole della città.
Nello scatolone, una ventina di opere di giovani artisti curdi che Torello inaugurerà quanto prima. Un nuovo passo, questa volta internazionale, nella sinergia cucina e cultura che caratterizza questo locale.

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Vorrei finire con un omaggio alla forza delle donne curde, impegnate ad uscire da un millenario isolamento storico e sociale. Hanno sostituito per lungo tempo i loro uomini impegnati a combattere sulle montagne, quando non erano stati uccisi dall’Anfal. Assunzioni di responsabilità senza che questo si sia tradotto in riconoscimento sociale. La forte determinazione che ho sentito nelle donne incontrate a Sulaimaniya, a Halabja, a Ciamciamal ci dice che le cose stanno cambiando.

Tiziana si è aggregata al nostro gruppo all’ultimo momento. Ha scritto libri e pubblicazioni sulla condizione della donna, con riferimento particolare al Veneto dove vive. E’ qui per scrivere delle donne curde. Gulala le trova i contatti e insieme le vedo appartarsi, Gulala traduce,Tiziana prende appunti, con le rappresentanti dell’associazionismo femminile, delle organizzazioni politiche, dei diritti violati.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Aisha oggi ha settant’anni. E’ nata a Surdash nella provincia di Sarjalu a nord-est di Sulaimaniya. Otto figli da tirar su. Cinque maschi e tre femmine. Ci racconta una storia. La sua.

La guerra con l’Iran le porta lontano un figlio, Nawzad Hama Ahmed, nato nel 1956. Nawzad nel 1983 ha ventisette anni, con il suo battaglione è in prima linea a Fao sul Golfo Persico.

Nelle immagini della tv irachena, Aisha vede cataste di ragazzi morti sul fronte. Non può attendere oltre. Inizia da sola un doloroso viaggio.

In treno a Kirkuk e poi fino a Baghdad. Da lì in pullman sempre più a sud. Da Bassora in taxi fino all’ultimo avamposto civile. Davanti trincee e campi militari.

Una donna sola che non parla arabo e indossa abiti curdi. A tutti, soldati e ufficiali, Aisha mostra la foto del figlio.

Arriva a parlare al 1° ufficiale del battaglione nel quale combatte Nawzad.

“Se mio figlio è vivo lo voglio riportare a casa. Io gli ho dato la vita. Non voi”.

“Tuo figlio ora appartiene all’esercito”.

La notizia di questa donna e della sua ricerca del figlio arriva al generale, che la fa chiamare.

“Voglio premiare il tuo coraggio. A tuo figlio concedo una licenza di quindici giorni che nessuno ha avuto. Ma ricordati, al suo scadere lui dovrà essere qui”.

Trascorsi i giorni della licenza, la madre sceglie di non far tornare il figlio a combattere con l’esercito iracheno. Senza dire niente al marito, accompagna Nawzad in montagna, là dove combattono i peshmerga. Quello è il suo posto.

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Nota: Guarda tutte le foto (ingrandibili) nella galleria delle immagini!


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Conferenza nel Kurdistan - Il discorso di Fulgida Barattoni

18 marzo 2008 Pubblicato da roberto

ROSH BASH BOHAMUTAN
SABAH ALHER AL CUL
GOOD MORNING TO EVERY BODY
BUON GIORNO A TUTTI

Autorita’, sindaci, rappresentanti della societa’ civile dell’Iraq,
Il mio nome e’ Fulgida e mi piace essere Fulgida per tutti e per il solo mio nome essere da tutti voi chiamata e riconosciuta.

Oggi e’ un buon giorno perche’ finalmente siamo tutti qui italiani, iracheni, sunniti, shiiti, kurdi, tutti uniti per la pace.
La societa’ civile ovunque nel mondo e’ composta da mamme, bambini, mariti e nonni e oltre ogni differenza di cultura e religione, TUTTI vogliono la stessa identica cosa, vedere crescere i loro figli, offrire alle generazioni a venire un futuro senza la paura, IN PACE.

Alle soglie del terzo millennio la rete mondiale dei sindaci per la pace Mayors for Peace che e’ presieduta dal sindaco di Hiroshima Akiba Tadatoshi si annuncia essere una straordinaria opportunita’ per una pace che proviene dalla gente che parla attraverso i propri rappresentanti, i sindaci, che sono quell’istituzione di primo livello che puo’ mediare i bisogni e le ragioni della societa’ civile con le ragioni dei governi centrali perche’ il sindaco ha un compito molto importante: prima ancora di amministrare e rappresentare la propria comunita’ il sindaco ha il compito di PROTEGGERE i propri cittadini, i bambini, le mamme i nonni ed e’ per questo che siamo qui UNITI tutti insieme DAL GENOCIDIO ALLA PACE per fare della tragedia di Halabja un momento di riflessione per tutti per una pace al futuro perche’ MAI PIU’ i bambini debbano morire cosi’.

Quando un bambino muore il grido delle madri della terra si alza disperato perche’ i nostri figli sono la vita, sono la speranza, sono il futuro per noi, per il nostro paese e per tutta l’umanita’ intera.
Guardiamoci negli occhi e pensiamo che noi tutti siamo mamme, babbi e Dio ci ha dato un compito, proteggere, educare, crescere i nostri figli.
Se stiamo UNITI, se sapremo passare oltre le nostre differenze - ditemi dove sono io differente da una madre Irachena, sunnita, shiita, kurda che siede qui in questa sala? forse che non amiamo i nostri figli nello stesso modo? forse che l’amore e’ diverso a seconda della differenza di razza o etnia?
Se specialmente i sindaci siano essi sunniti, shiiti, kurdi sapranno unirsi per difendere i loro cittadini per una esperienza di pace che viene dalla gente per la gente allora la pace ci sara’.

Ringrazio il sindaco di Halabja Karem Kheder per avere saputo credere al futuro, per avere aperto la porta alla Mayors for Peace in IRAQ per avere realizzato questo straordinario evento ma un grazie va a tutti i giornalisti delle testate, delle televisioni, dei media, operatori nazionali e internazionali che questa mattina sono qui con noi a lavorare con noi: voi siete le persone PIU’ IMPORTANTI perche’ con il vostro lavoro mostrate alla comunita’ internazionale al mondo che TUTTI UNITI un progetto orizzontale di pace dal basso e’ possibile.

In Italia, in Sicilia nascera’ un centro per la pace in Medio Oriente e Mediterraneo. Questo centro sara’ il luogo dell’incontro e del dialogo, il luogo dove la gente si incontrera’ non per superare le proprie differenze che anzi possono essere anche una forza, si incontrano per trovare quei punti comuni da difendere, per i quali unirsi e per i quali combattere.

Consentitemi un grazie speciale con tutto il cuore, questo grazie speciale e’ per un’amica, per una donna, una donna del vostro Paese, una combattente per la pace GULALA SALIH che da tre anni lavora con me per promuovere la pace
Gulala ha costruito un ponte fra l’Italia e l’Iraq. Questa giovane donna mi ha insegnato una cosa molto importante, anche quando le cose sembrano non andare nella direzione che noi desideriamo, anche nelle condizioni piu’ avverse, questa donna mi ha insegnato che non bisogna mollare mai, che bisogna stare tutti uniti per la pace e che uniti NOI VINCEREMO!

Nota: Si segnala un link dove trovare immagini dell’evento:
http://pukmedia.com/kurdish/index.php?option=com_content&task=view&id=9904&Itemid=1

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