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Per un 2707 di Pace

20 marzo 2007 Pubblicato da roberto

Ecco un racconto che è un racconto di storia, e, insieme, un ricordo.
Il 21 marzo - non solo dal popolo curdo, ma presso tutti i popoli di stirpe iranica - dai tempi dei tempi si celebra il “Nuovo Giorno”, appunto, il Newroz.
Dalla penna di Andrea Misuri un articolo fresco di ricordi e antico di storia. Che immerge anche noi lettori, quasi per magia, tra i popoli e le tradizioni di quella regione dove nacque la nostra civiltà.

In queste ore, sugli spalti del Castello di Erbil, stanno bruciando i falò.

E’ il Newroz, il capodanno delle popolazioni di origine iranica, il “Nuovo Giorno”.
Oggi si entra nel 2707. Nella ricorrenza si ritrovano aspetti mitici, storici, sociali, che ne fanno un momento di forte identità per un popolo, quello curdo, da tempi immemorabili perseguitato e disperso. La diaspora curda, meno conosciuta di quella di altri popoli, se si guarda al numero di persone coinvolte è sicuramente fra le più grandi. Ben si comprende, quindi, come in questo caso, il mito abbia svolto una fondamentale funzione di coesione, legando l’origine del popolo ad eroici antenati pre-islamici.
Mi piace ricordare che del coraggio dei combattenti curdi parla già l’Anabasi di Senofonte. Una campagna militare di oltre due millenni fa, culminata nella effimera vittoria di Cunassa (401 a.C.) in cui Ciro il giovane trovò la morte, e in una faticosissima ritirata di migliaia di chilometri. I 10.000 opliti greci, mercenari al servizio di Ciro, spintisi fino all’odierna Baghdad, tornarono indietro, cercando di raggiungere le lontane rive del Mar Nero (sorvoliamo sulle possibili analogie con la storia attuale). Accadde dunque che i fuggiaschi attraversarono il territorio dei Curdi, noti come Caduchi, che “vivevano sulle montagne ed erano un popolo bellicoso, che rifiutava di obbedire al re” (Anabasi, III, 5, 16). Certamente, un incontro per niente amichevole. Anche Marco Polo, tanti secoli dopo, descrive i Curdi come “tristi e bellicosi”.
Ma torniamo agli antenati della tradizione. E’ il poema epico “Il Libro dei Re” di Firdusi, del X secolo d.C., che racconta la genesi culturale dei popoli iranici. E’ leggendo queste pagine, peraltro bellissime, poetiche, ricche di notizie sulla vita quotidiana in quelle epoche antiche, che possiamo riavvolgere il filo del tempo, conoscere eventi fantastici collocati in un passato molto remoto.
Si favoleggia che il despota Dahak avesse sulle spalle due serpenti che ogni giorno si nutrivano con il cervello di due giovani curdi. Ma il servitore che doveva uccidere i fanciulli, preso da pietà, ogni giorno ne uccideva uno soltanto, sostituendo il cervello dell’altro con quello di una pecora. I giovani sopravvissuti si rifugiarono sulle montagne. Così nacque il popolo curdo, “gli uomini delle montagne”.
Un giorno, Kawa un umile fabbro ferraio d’Isphahan (nell’attuale Iran), il cui figlio doveva essere dato in pasto ai serpenti, trovò il coraggio di opporsi al tiranno. Kawa prese il suo grembiule di cuoio e lo issò su di un asta, facendone la bandiera che avrebbe guidato gl’insorti. I fuochi accesi sulle montagne sarebbero stati il segnale della rivolta. Fu richiamato il legittimo discendente regale, il giovane Fredun. La popolazione, guidata da Kawa, rovesciò la dittatura.
Fredun catturò Dahak e lo portò sulla catena montuosa di Alborz, e lo legò in catene sulla sua cima, Damavand. Ancor oggi Damavand svetta alta verso il cielo, con i suoi oltre 5.000 metri, a nord-est di Tehran. La sua punta, perennemente coperta di neve, è visibile da ogni angolo della città. Lo sviluppo urbanistico, ormai, ne lambisce i primi contrafforti, indifferente alle leggende raccolte dal poeta Firdusi. Attualmente, sul Davamand, al campo base di Goosfand Sara (La dimora delle pecore) e al rifugio di Bazrgah-e-Sevom (Terzo color grano), quando la stagione lo permette, s’incontrano esperti scalatori, che si stanno acclimatando alla quota, in attesa della salita finale.
Abbiamo visto come il grembiule di Kawa fosse diventato il vessillo della rivolta. Un oggetto semplice, di uso quotidiano, assurgeva così a punto di riferimento di un popolo oppresso. Insieme al fuoco, da sempre indispensabile a forgiare gli oggetti nelle botteghe dei fabbri e divenuto simbolo della lotta al crudele Dahak. Quello stesso fuoco che da tempo immemorabile veniva acceso in luoghi diversi, prima dell’alba dell’equinozio di primavera, dalle antiche popolazioni. Quel fuoco con cui si usava venerare Mazda, il dio di cui Zaratustra era il profeta, prima che i curdi si convertissero all’Islam, quando entrarono a far parte dell’Impero Ottomano, nel VII secolo d.C.

La leggenda di Kawa, in realtà, trova un radicamento nella storia. Con un riferimento preciso alla vittoria dei Medi sugli Assiri e la distruzione della loro città più bella, Ninive.

Ninive si trovava vicino all’attuale Mossul. Lungo il Tigri, crocevia di comunicazione fondamentale sulla via che univa l’Oriente ai Paesi che si affacciavano sulle rive del Mediterraneo.
Quartieri residenziali si alternavano ai templi. Lungo le possenti mura che chiudevano la città, furono costruite diciotto grandi porte, a guardia delle quali furono poste gigantesche statue di tori dalla barba riccia, guardiani che incutevano timore ai visitatori.
Ninive raggiunse a quel tempo i 120.000 abitanti, gran parte dei quali importati a forza dalle città nemiche distrutte. Un numero impressionante per l’epoca. Nel racconto biblico di Giona è chiamata la città “dei tre giorni di viaggio”, ad indicare la sua grandezza.
I re assiri che si succedettero portarono avanti una politica di conquista nei confronti di popoli anche lontani dalle loro terre: Caldei, Filistei, Cimmeri, Mannei, Sciti, Medi. Nessuno si poteva considerare al sicuro dalla voglia di conquista degli Assiri. Fu invaso l’Egitto. Poi toccò al regno di Elam. Furono sconfitti gli Arabi, alleati di Babilonia, la grande nemica. La mitica Babilonia fu completamente distrutta. E con lei, quella Torre di Babele, simbolo della presunzione dell’uomo.
Nel 612 a. C. un’alleanza tra i Medi del re Ciassare e i Babilonesi del re Nabopolassar portò all’assedio di Ninive. Durò tre mesi. Troppo estesa la città, troppe le porte da proteggere. L’alleanza contro il comune nemico aveva permesso di raccogliere un gran numero di assedianti che sconfissero gli Assiri. La lunga oppressione era terminata.
Da quell’anno decorre il calendario dei Curdi, con ogni probabilità discendenti dei Medi, che si erano mescolati con la popolazione autoctona che abitava quei territori.

Il Newroz si festeggia in Irak, Iran, Pakistan, Afghanistan, oltre che in alcune regioni dell’India e della Cina abitate da minoranze iraniche. Questo non succede in Turchia, dove la ricorrenza coincide ormai, da molti anni, con una stretta sorveglianza dei militari e con dure repressioni della popolazione curda. Il Newroz diviene occasione d’identità. Il segnale annunciato di un malessere, di un desiderio di libertà pericolosi per il potere. L’atteggiamento delle autorità ha fatto sì che per il 21 marzo, nel Kurdistan turco, ogni anno, arrivano numerosi osservatori internazionali.

Alle prime luci dell’alba, i fuochi sugli spalti del Castello di Erbil si vedono da ogni angolo della città, a ricordare la rivolta del fabbro Kawa.
Da lassù, vicino ai falò, il bazar sottostante si estende a perdita d’occhio. Dagli spalti, illuminati dal riverbero delle lingue di fuoco, sembra quasi di percepire i profumi e gli odori che fra poco usciranno dalle mille botteghe sottostanti. Le grida dei venditori che si mescoleranno, inseguendosi, a quelle dei compratori intenti a mercanteggiare sul prezzo.
Intanto, la città si sveglia al “nuovo giorno” di festa. Lunghe colonne di auto e di mezzi d’ogni sorta prendono la strada che a nord di Erbil s’allunga verso la campagna: un rettilineo infinito, sorvegliato, a intervalli regolari, da gruppi di soldati. Sorridono, scambiando saluti e parole con le famiglie festanti.
Il Newroz è anche occasione per capire meglio il ruolo della donna nella società. Ruolo e libertà decisamente maggiori rispetto a quelle di altri Paesi islamici. Un aspetto, questo, della società curda, già evidenziato dai viaggiatori occidentali nei secoli passati. Lo si può vedere dagli abiti indossati dalle donne in questo giorno di festa. Abiti dai colori vivaci, che non nascondono la femminilità. Lo si nota dalle danze popolari, spesso di donne e uomini insieme, accompagnate da una musica coinvolgente. Danze che vanno avanti per ore, sui prati, fermandosi e ripartendo in un incessante inno alla voglia di vivere. Tenendosi per mano, o per le braccia, eseguono girotondi dalle tante varianti. Queste danze rappresentano un aspetto importante della vita sociale.

Mi fa piacere pensare che in queste ore, a Erbil, a Sulaymanya, a Halabja, a Balessan, a Chamchamal, ma anche a Baghdad, come in Canada e in Italia, gli amici che abbiamo conosciuto stanno festeggiando. Ballando e cantando le canzoni della tradizione, mangiando kebab, kifta e yogurt sulle tovaglie apparecchiate sui prati, guardando i fuochi che bruciano sulle colline, a simboleggiare l’antica voglia di libertà di un popolo.
Kareem, Ara, Muhamad, Hero, Dana, Shreein, Mahtab, così come Gulala, Nadhim e Rashid, che il 2707 possa essere per voi, per noi e per tutti un anno davvero “nuovo” di pace ed amicizia.

Nota: L’articolo (corredato di foto) è pubblicato anche nel sito di Peacelink.

Articolo correlato:
Newroz: Il primo giorno della primavera nel segno dell’amicizia e della solidarietà.

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Intervento alla Conferenza della Salute

12 febbraio 2007 Pubblicato da roberto

Da Susanna Agostini, rappresentante del Sindaco di Firenze e Vicepresidente Mayors for Peace Leonardo Domenici, un interessante intervento alla “Conferenza per la costituzione di un partenariato per la salute con i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente” tenuta a Roma l’8 febbraio scorso.
E’ stato un primo passo, fondamentale, per una sinergia tra il Ministero della Salute e quello degli Affari Esteri, nel campo della Cooperazione sanitaria internazionale.

Siamo qui per contribuire ad affermare l’opportunità di ricondurre a “sistema paese” una miriade di interventi oggi promossi da singole istituzioni nell’ambito della cooperazione nel settore sanitario. Riteniamo, infatti, che un partenariato per la salute sia strumento privilegiato di politica estera dell’Italia verso i Paesi delle aree in questione.

Il contributo della nostra esperienza sul tema, è la concretizzazione di un protocollo condiviso tra associazioni e istituzioni bilaterali, per realizzare una cooperazione medico-sanitaria in Iraq. Indirizzata, in particolare, alla cura di patologie neonatali di prima e seconda generazione, derivate anche da aggressioni chimiche e batteriologiche.
Partendo dall’esperienza del Comune di Firenze, esiste un tipo di progettualità sulla quale si può disporre di esperienze concrete come la rete internazionale dei Sindaci per la Pace Mayors for Peace, della quale il nostro Sindaco è Vice Presidente e il Sindaco di Hiroshima, Akiba Tadatoshi è il Presidente Mondiale. Da più di un anno stiamo agendo per costituire un ampio fronte unito contro l’uso del nucleare e di ogni arma chimica, batteriologica e di aggressione di massa. La condivisione, sottoscritta da Sindaci di 112 Nazioni e Regioni del mondo, di obiettivi di salvaguardia della salute e di vite umane, assume così, a nostro parere, un ruolo politico strategico anche sovranazionale.
A seguito di una missione di pace nel Kurdistan iracheno, hanno aderito a MfP anche nove Sindaci dell’Iraq, guidati dal Sindaco della Città martire di Halabja. Con questi, alcune città della Toscana stanno avviando gemellaggi e attività di cooperazione. Alcuni esempi. Firenze ha ricevuto l’incarico, da parte della Sig.ra Hero Talabani, di far analizzare i terreni contaminati dai bombardamenti chimici del 1988 per poter definire il livello di velenosità che potrebbe ancor’oggi erogare alle popolazioni che vi abitano. La stessa First Lady ha fatto esplicita richiesta all’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, di proseguire ad essere riferimento d’eccellenza per la cura di tanti bambini iracheni. Oltre ad attivarsi per garantire formazione ad operatori in loco, per metterli in condizione di saper intervenire con più moderne tecnologie. Allo scopo di evitare un soprannumero di espatri sanitari, con pesanti disagi per le famiglie, spesso numerose. Ma anche per poter fornire ad un numero superiore di persone il conforto della cura e della riabilitazione nel proprio Paese.
Solo alcuni cenni a tanti degli impegni assunti nei cinque punti contenuti nel nostro progetto/protocollo. Documento del quale il Ministro della Salute Livia Turco è più dettagliatamente a conoscenza, anche perché attivamente protagonista, attraverso la propria rappresentante, D.ssa Paola Di Martino al convegno tenutosi a Pianosa nell’agosto scorso. Impegni che si sono resi possibili solo grazie ad un ampio raggio di soggetti istituzionali e associazioni che hanno contribuito alla formulazione congiunta ed alla fattiva proposta di concreta realizzazione. Ci aspettiamo perciò, anche da questo convegno, uno spostamento in avanti della frontiera comune entro la quale intendiamo proseguire.
I risultati dei molti incontri con i diversi rappresentanti di Istituzioni Regionali, Comuni, associazioni irachene impegnate nella ricostruzione sociale e sanitaria del Paese, ci confortano nel sottolineare la positività del percorso che questo Governo sta mettendo in atto. L’approccio della salute come primo intervento di cooperazione e di pace è quanto di più necessita a quei popoli che escono faticosamente da conflitti plurigenerazionali.
E’ per questo che esplicito qui una proposta. Un impegno istituzionale come donna e madre. Occuparsi della salute di quanti non dovranno più soffrire per conflitti, fame, mancata assistenza, povertà, è un dovere contingente. Abbiamo però anche il compito di indirizzare il cuore ed il pensiero verso coloro che nasceranno. Per dare loro garanzie e diritti che ora non hanno.
E’ opportuno che nelle azioni di ricostruzione, ogni iniziativa politica abbia al centro della propria filosofia (politica, sociale e sanitaria) il fatto che i neonati sono davvero l’ unico soggetto “neutro” al quale rivolgersi. Sono persone che di fatto non sanno di scelte di campo agite in loro vece e che posseggono un solo diritto, quello di nascere sani ed in Pace.
E’ un sogno e una garanzia per un futuro di concreto approccio alle pari opportunità(il Prof. Donzelli dell’Ospedale Meyer porterà significativi dati nel secondo nostro intervento).
Un ultimo accenno, necessario per il buon funzionamento e implementazione del partenariato, mi sento di doverlo fare alla necessità di costruzione di un’informazione diffusa e condivisa tra istituzioni e i diversi partner. Tenendo, fin dall’avvio, anche in buon conto di un’ottica di genere e incentrata su aspetti che coinvolgono donne e educazione alla salute, partendo da una ricognizione del campo offerto anche dalle proposte del Ministro delle Pari Opportunità.

Concludendo, ritengo che un partenariato per la salute e la ricostruzione, avrà maggior successo quanto più riuscirà a garantire coordinamento degli interventi, evitando sprechi o sovrapposizioni, mantenendo l’opportunità di una progettazione integrata nel rispetto e chiarezza dei diversi ruoli e competenze. A questo proposito, è importante che le città possano disporre di reti di connessione come quella di Mayors for Peace. Reti che saranno utili al progetto, non solo come monitoraggio in corso d’opera. Ma strumento per raccogliere criticità e soluzioni, in un’ottica di rinnovato impegno internazionale che l’Italia sta egregiamente dimostrando di saper condurre nel mondo.

Susanna Agostini
Presidente della Commissione Politiche Sociali e della Salute del Comune di Firenze
Delegata dal Sindaco per il Progetto per la cooperazione Sanitaria in Iraq e MfP

Nota: Vedi anche il comunicato stampa dal sito del Comune di Firenze.

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“Appunti da un viaggio in Kurdistan” - due incontri di presentazione

8 febbraio 2007 Pubblicato da roberto

A Firenze e a Campi Bisenzio, rispettivamente il 16 e il 22 febbraio, si svolgeranno due incontri di presentazione del libro “Appunti da un viaggio in Kurdistan” di Andrea Misuri, che racconta le vicende della delegazione dei “Mayors for Peace” italiani durante la visita nel Kurdistan iracheno della primavera scorsa:

• Al Circolo ARCI “Due Strade”, in via Senese 129/R a Firenze, venerdì 16 febbraio alle ore 21, in collaborazione con la Fondazione “Antonino Caponnetto”. Saranno presenti oltre all’autore, Fulgida Barattoni dell’IPB-Italia e il giornalista Francesco Nocentini. Nel corso dell’evento sarà proiettato il documentario di RaiNews24 “Le battaglie di Halabja” girato nel Kurdistan la primavera scorsa da Flaviano Masella reporter al seguito della delegazione di pace.

• A Villa Rucellai, a Campi Bisenzio alle 21,15, la presentazione avverrà giovedì 22 febbraio, nell’ambito dell’iniziativa “Comuni, ponti di Pace”. Presenti oltre all’autore, Fiorella Alunni sindaco di Campi Bisenzio e Fabrizio Nucci giornalista del periodico “Metropoli”. Al termine della serata è previsto un “Brindisi alla pace”. Per informazioni, Eleonora Mappa tel. 055/8959482.

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A Pineto degli Abruzzi: la delegazione del Kurdistan ha incontrato il sindaco Monticelli

30 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Il Centro, 10 ottobre 2006
Pineto
UNA DELEGAZIONE DEL KURDISTAN HA INCONTRATO IL SINDACO MONTICELLI
Pineto. L’antica villa Filiani apre le porte all’Iraq. Una delegazione del Kurdistan è stata infatti in visita a Pineto, nell’ambito della campagna “Mayors for Peace”, sindaci per la pace, associazione nata nel 1992 per combattere la proliferazione degli armamenti nucleari, a cui recentemente ha aderito il primo cittadino pinetese.
Alla guida della delegazione curda c’era Khdir Kareem Mohammed, sindaco di halabja e hikmat Haid Arif, componente del comitato delle vittime di Halabja, accompagnato da alcuni membri dell’Ipb (International Peace Bureau)Italia. “Halabja, con i suoi 70mila abitanti, fu sottoposta” ha raccontato il sindaco curdo nel corso dell’incontro con gli amministratori locali, “nel corso di un’azione militare irachena al più massiccio bombardamento con armi chimiche che sia mai stato usato nei confronti di civili. I morti furono 5mila e i feriti più di 100mila”.”Il ruolo delle comunità locali è fondamentale come strumento di pressione sui governi nella battaglia per la pace e per una civile convivenza”, è il messaggio del sindaco di Pineto, Luciano Monticelli, “dai Comuni italiani deve venire un segnale forte per il disarmo nucleare”. (f.ce)

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Conclusa la visita in Italia del sindaco di Halabja

9 ottobre 2006 Pubblicato da roberto

Si è conclusa la visita in Italia di Khadr Kareem, sindaco di Halabja, cittadina del Kurdistan iracheno tristemente ricordata per il bombardamento con armi chimiche operato da Saddam Hussein nel 1988.
Il Sindaco, assieme a un rappresentante dei sopravvissuti alla strage, ha partecipato a numerosi eventi: il 1 ottobre scorso a Marzabotto, alla celebrazione del 62° anniversario dell’eccidio nazista; a colloqui in Firenze, mirati a possibili progetti di bonifica dei terreni tuttora contaminati, con la direttrice dell’ARPAT, l’agenzia per la protezione ambientale della Toscana; ed è stato ospite anche del Comune di Campi Bisenzio, prima di presenziare nella giornata del 7 ottobre, a Lugo di Romagna alla “Festa delle favole”, spettacolo di premiazione del concorso “Una favola per la pace”.
Khadr Kareem è stato il primo sindaco iracheno ad avere aderito alla Campagna mondiale “Mayors for Peace”, creata nel 1982 dai sindaci di Hiroshima e Nagasaki e che ha come scopo la sensibilizzazione e l’adozione di azioni concrete per l’abolizione completa delle armi di distruzione di massa.
Fondamentale in questo è stato il ruolo di IPB-Italia, l’ufficio italiano dell’International Peace Bureau di Ginevra, che oltre ad avere promosso la Campagna tra i sindaci del nostro territorio, ha al suo attivo la recente adesione di diversi sindaci iracheni delle varie etnie. Con essi sarà possibile attivare, nel medio periodo e in collaborazione con altre organizzazioni e fondazioni, iniziative di peace education e di recupero della legalità, che si affiancano ad altri progetti umanitari, più mirati all’emergenza sanitaria. E’ utile rammentare che di tutto questo si è discusso, assieme a rappresentanti istituzionali italiani e iracheni, nel passato convegno di Pianosa dell’agosto scorso “Insieme per la ricostruzione dell’Iraq”.
Nota: Vedi anche:
A Pineto degli Abruzzi: la delegazione del Kurdistan ha incontrato il sindaco Monticelli
Conclusa la visita in Italia del primo “sindaco per la pace” iracheno
Marzabotto 1944, Halabja 1988.

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